Non vogliamo entrare nel merito della vicenda che ha portato oggi a Roma le ruspe a demolire in parte lo SCUP, acronimo che sta per Sport e Cultura Popolare e che si riferisce a uno stabile già di proprietà del Ministero dei Trasporti e poi abbandonato, ma che da circa tre anni ospita appunto iniziative di sport e cultura popolare, una cucina a prezzi ridotti, uno spazio bimbi, una biblioteca e luoghi di incontro per movimenti e associazioni della città, a cura di una serie di attivisti e volontari. A stabilirlo è stata una decisione dell’Autorità Giudiziaria, per consentire alla società privata divenuta nel frattempo proprietaria del sito di riacquisirlo, presumibilmente per tentare di avviare un investimento commerciale.
E leggiamo con attenzione anche le parole riportate dalla cronaca capitolina di «Repubblica», secondo cui il Comune ribadisce di avere «già negato nei mesi scorsi per questo stabile il cambio di destinazione di uso, richiesto dal proprietario» e che «il Campidoglio continuerà a vigilare, oggi e in futuro, affinché vengano rispettati tutti i vincoli, nello specifico, verde pubblico e servizi pubblici locali, previsti dal Piano Regolatore per la struttura in questione». In particolare, il vicesindaco di Roma Luigi Nieri ha voluto sottolineare che «esperienze come quella dello SCUP vanno difese» e in tal senso «l’Amministrazione Comunale vigilerà con grandissima attenzione sulla destinazione d’uso della struttura, non consentendo alcuna deroga né speculazione, perché quell’area è destinata a servizi pubblici locali e verde pubblico».
Di tutto ciò prendiamo atto ben volentieri e ne verificheremo gli sviluppi. Qui, però, vogliamo solo ricordare qualcosa che quelle ruspe hanno demolito, che è più importante degli stessi libri, del materiale sportivo, delle sedie, dei tavoli e del mobilio letteralmente gettati in strada, chiedendoci anche se chi ne ha ordinato l’azione ne fosse a conoscenza.
A raccontarcelo, in un messaggio, sono le Associazioni Gruppo Asperger Lazio e Giuliaparla, insieme alla Cooperativa Sociale Agricola Garibaldi, che scrivono: «Lo spazio autogestito SCUP ha accolto i nostri figli in attività culturali e sportive, permettendo a persone con autismo di essere incluse in contesti neurotipici, quelli che abitualmente ci vengono negati. Ad esempio Arturo, 4 anni, con una diagnosi di disturbo dello spettro autistico, non frequenta la scuola materna perché il Comune di Roma non è stato in grado di predisporre per lui un piano di inclusione scolastica adeguato. Frequenta lo SCUP dal 13 giugno dello scorso anno e presto avrebbe preso la cintura verde di capoeira [la capoeira è un’arte marziale brasiliana, N.d.R.] insieme ai suoi coetanei. Per la prima volta una sua attività – tra l’altro a basso costo – non aveva avuto bisogno di un mediatore o di un insegnante di sostegno. E poi c’è M., giovane adulto con autismo ad alto funzionamento che ha allestito una biblioteca insieme ai volontari dello SCUP e che vive lo sconforto di vedere il suo lavoro distrutto, un lavoro faticoso e una conquista sociale importante. E ancora G., altra persona con autismo, che ci ha confidato come lo SCUP gli abbia permesso di frequentare un corso di inglese, conoscendo persone interessanti e facendo amicizie. “È il posto del mio quartiere che preferisco”, ci ha detto. Ma sono solo alcuni esempi per i quali questo luogo avrebbe meritato maggiore rispetto».
Sacrosanta la conclusione: «Non si capisce come faccia questa città a non tutelare mai i diritti delle persone con autismo e a demolire con noncuranza anche i progetti che, a fatica, da soli, i professionisti, le famiglie e le persone con disabilità riescono a costruire. Nel rispetto della necessità di mantenere legalità e giustizia, sarebbe stato importante per tutti noi, cittadini come gli altri, che chi di dovere avesse avuto cura di conoscere cosa le ruspe avrebbero distrutto».
Caustico, e degno di nota, anche il commento di Laura Imbimbo del Gruppo Asperger Lazio: «Visto che a Roma non si spostano nemmeno le macchine in doppia fila, non si poteva proprio evitare tutto ciò?».
Da parte nostra, quindi, torniamo a chiederci: quelle ruspe – o meglio, chi ne ha deciso l’utilizzo – sapevano di Arturo, di M., di G. e delle positive, vitali esperienze vissute in quello spazio da loro e da altri giovani?