Fra persone disabili osanniamo l’invenzione dei social network con ampia generosità e ne abbiamo ben donde. Senza internet eravamo un popolo di “ignoti a se stessi”, se non a piccole chiazze che si coagulavano nell’associazionismo o nella caritatevolezza dell’accoglienza parrocchiale diretta o direttamente erogata dalle associazioni a carattere cattolico.
Le e-mail ci hanno permesso di allargare quella dimensione, costituendo le prime caserecce cordate di amici che si alimentavano della conoscenza di amici di amici poco virtuali e molto virtuosi nel desiderio di comunicare.
Ma sono stati i social che ci hanno facilitato la relazione, quando accessibili, permettendoci di creare velocemente ampi gruppi di discussione. Di fluidificare, e scremare, la circolazione delle notizie più significative. E di frequentarci virtualmente come realmente è concesso fare a tutti, sentendoci finalmente liberi di gozzovigliare nelle vite altrui.
Voyeuristi all’occorrenza, se ci va. Già, ma con quali pregi e quali difetti? Il CNR vuole scoprirlo e noi possiamo aiutarlo.
Il Consiglio Nazionale delle Ricerche, infatti, nella figura del suo Istituto per le Tecnologie Didattiche, sta effettuando uno studio «per indagare le potenzialità che i social network rivestono come strumento di empowerment per le persone con disabilità» [se ne legga già anche su questa testata, N.d.R.]. Ci si chiede, in un’esplorazione condotta senza specifici finanziamenti (perché da noi o “son nozze senza neanche i fichi” o “è grasso che cola” per misteriosi rivoli), quali effetti abbia la socializzazione virtuale sulla crescita della persona. Ovvero la ricerca è volta a cercare d’intercettare «le abitudini d’uso più frequenti e le maggiori criticità a cui vanno incontro gli utenti con disabilità».
«Abitudini d’uso» è una locuzione che trovo cacofonica e ridondante, perché le abitudini di loro natura contemplano di considerare l’uso, ergo non vedo perché specificare che si studierà un fattore che s’è appena annunciato che si andrà a valutare. Tuttavia comprendo l’intenzione di esprimere distintamente che ciò che si ambisce determinare è come gli utenti disabili usino i social – io ho provato a tenerne troppi aperti contemporaneamente e alla fine mi s’è fritta la ram, per esempio…
In ogni caso penso che se vogliamo conoscerci veramente, partecipare all’indagine è d’obbligo. Aiuterà a capire meglio e a definire alcune dinamiche sociali, cioè a capire cosa facciamo, come, quando e con che risultati. Alla fine sapremo ciò che forse sappiamo già, ma sarà certificato. Vergato sui pixel dei nostri schermi led, impresso definitivamente nel web, vuoi mettere la soddisfazione di criticare o elogiare la definitiva verità italiana piuttosto che le dicerie della vulgata sui social?
Sono stato sulla pagina Questionario sui social network & disabilità e naturalmente ho risposto al questionario stesso, anonimo e compilabile fino al 30 giugno. Ho sottratto una mezz’oretta di daffare all’imperioso “dio tempo”, che sinora non se n’è avuto a male e spero non lo faccia adesso, dichiarato al mondo il mio sgarro.
Il tempo è galantuomo e la partecipazione garbo, se il contesto è benevolo. Fare rete è importante quanto conservare la propria individualità. Fare comunità può aiutare a fare acquisire quella coscienza, quella sensazione di popolo, che ancora manca nella sua pienezza alle persone con disabilità, a volte perse nei “campanilismi” della propria classe di disabilità. Comprendere come socializziamo sui network ci può aiutare a comprendere ciò che siamo, un popolo nel popolo.
La presente riflessione è già apparsa in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it» (con il titolo “Un questionario del Cnr sui social aiuterà a conoscerci meglio”). Viene qui ripresa, con alcuni minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.
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