«Il progetto del Ministero mette a disposizione della famiglia Biviano tutta la tecnologia più avanzata e personalizzata alle varie, imprevedibili, disfunzioni del sistema nervoso. Il sistema verrà governato da una centrale operativa che h24 gestirà il monitoraggio dei parametri vitali e manterrà adeguati i livelli di cure mediche sotto forma di farmaci e riabilitazione. È il tipo di risposta che vogliono i malati. Dobbiamo garantire loro la migliore qualità della vita possibile».
Si riferisce alla vicenda dei fratelli Biviano, il comunicato ufficiale emesso nei giorni scorsi dal ministro della Salute Beatrice Lorenzin, vicenda di cui la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) riassume in una nota i passaggi fondamentali: «Da quasi settecento giorni – scrivono dalla Federazione – i fratelli Biviano conducevano la loro protesta vivendo in una tenda in Piazza Montecitorio. Vittime anch’essi del raggiro noto con il nome di “Stamina”, chiedevano dapprima di potersi “curare” con quel “protocollo”, poi totalmente smontato dalla comunità scientifica e dalla stessa Magistratura. Ma quando le infondate speranze diffuse da Vannoni e da “testimonial” compiacenti si sono rivelate a tutti per ciò che erano, è rimasta l’evidenza della condizione di abbandono dei fratelli Biviano, simile a moltissime altre storie di vita di persone con gravi patologie. In questo caso si trattava di distrofia facio-scapolo-omerale. I Biviano, assieme ad altre due sorelle, anch’esse con una grave patologia, vivono a Lipari (Messina) e da anni denunciano l’assenza di servizi socio-sanitari adeguati».
«A distanza di quasi due anni esprimiamo soddisfazione – commenta Vincenzo Falabella, presidente nazionale della FISH – constatando che almeno questo caso sembra essersi risolto e che i fratelli Biviano, grazie ad alcune rassicurazioni di alto profilo istituzionale e a uno specifico progetto (che ci auguriamo non sia di mera teleassistenza), possono tornare alla loro casa».
E tuttavia è soprattutto un altro il passaggio del comunicato diffuso dal Ministro della Salute che preme evidenziare alla FISH, ove sembra di poter intravvedere un impegno preciso anche per tante altre persone. «Questi malati – scrive infatti Lorenzin – ci chiedono di non essere abbandonati, di essere impegnati in un lavoro sostenibile, che dia loro dignità. Il progetto parte con la famiglia Biviano e potrà essere riprodotto in scala per tutte le persone affette da questo tipo di patologia. È un progetto che realizza gli obiettivi che ci siamo fissati: umanizzazione e cure domiciliari, che vuol dire assistenza in ambienti migliori, come la propria casa, a costi nettamente inferiori per il Sistema Sanitario Nazionale».
È proprio su tali ipotesi che si concentra l’attenzione della FISH: «Questa affermazione appare come una gradita sorpresa – si legge nella nota della Federazione – proprio nei giorni in cui la revisione dei nuovi LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) sanitari e socio-sanitari e del Nomenclatore degli Ausili, fermo dal 1999, viene messa in dubbio per mancanza di fondi. Leggiamo dunque dichiarazioni che sono in controtendenza rispetto a molte politiche nazionali e regionali, giungendo al sospirato riconoscimento che il supporto alla domiciliarità, in alternativa al ricovero e alla segregazione, è un vantaggio anche economico per il Servizio Sanitario Nazionale. Da parte nostra, infatti, abbiamo sempre affermato che si possa dignitosamente rimanere a casa propria solo grazie a una rete di servizi socio-sanitari, perseguendo una reale integrazione socio-sanitaria e sostenendo efficacemente, ove richieste o necessarie, anche forme di assistenza indiretta. Le persone – come ricorda del resto l’articolo 19 della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (Vita indipendente e inclusione nella comunità) – devono poter scegliere dove e con chi vivere».
«Il pensiero – sottolinea ancora Falabella – va ad un generale ripensamento dei servizi e delle politiche per l’inclusione e, quindi, a tutti gli interventi contro la segregazione delle persone. Se i timori sono quelli delle risorse, sappiamo che queste sono troppo spesso frammentate e disperse. La reale integrazione socio-sanitaria, la possibilità di attingere anche all’àmbito sanitario per garantire l’inclusione, il coinvolgimento diretto della persona nell’elaborazione e realizzazione del suo progetto di vita sono possibili adottando modelli organizzativi già sperimentati con successo, come il “budget di salute”, vale a dire un patto fra cittadino e servizi che offra tutte quelle garanzie con efficacia, trasparenza, equità. Al ministro Lorenzin chiederemo quindi quali siano le procedure che le migliaia di altre persone nella condizione dei fratelli Biviano debbano seguire per ottenere analoghi servizi, ma prima ancora quale sia lo scenario futuro in questi àmbiti che riguardano la qualità della vita di migliaia di persone». (S.B.)
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