Informazione e comunicazione: abbattere (prima) le barriere

di Stefania Leone*
«Quando si parla di tecnologie dell'informazione e della comunicazione - scrive Stefania Leone - è fondamentale progettare a priori in modo accessibile, per farlo senza costi aggiuntivi, esattamente in modo analogo alle barriere architettoniche di un edificio, che vanno escluse in fase di progettazione, essendo ovviamente molto più costoso e oneroso eliminarle a costruzione terminata»
Donna con disabilità visiva che usa uno smartphone
Una donna con disabilità visiva che usa uno smartphone

Si chiama Oltre le barriere* sia il libro curato da Girolamo Furio e Sandro Montanari, con vari contributi, sia l’omonimo progetto, che ha già superato le barriere digitali, essendo stato fornito in formato elettronico accessibile all’ADV (Associazione Disabili Visivi), di cui chi scrive è consigliere e responsabile per le tematiche ICT (Information and Communication Technology).
In tema di barriere e diritti umani, non si può prescindere dalla citazione della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, recepita dall’Italia nel 2009 [Legge 18/09, N.d.R.], in cui in particolare l’articolo 30 (Partecipazione alla vita culturale e ricreativa, agli svaghi ed allo sport) sancisce che «Gli Stati Parti riconoscono il diritto delle persone con disabilità a prendere parte su base di uguaglianza con gli altri alla vita culturale e adottano tutte le misure adeguate a garantire alle persone con disabilità […] l’accesso a programmi televisivi, film, spettacoli teatrali e altre attività culturali, in formati accessibili».
Prima di approfondire gli aspetti tecnici, vorrei soffermarmi sui diritti naturali, e in particolare sul diritto di vedere.

Per una persona che – come nel mio caso – abbia perso la vista da adulta, o che come nel caso di un cieco congenito non l’abbia mai avuta, il diritto di vedere non viene esercitato né goduto e tuttavia permane! Esso può essere però ricondotto ad altri diritti naturali, come ascoltare, sentire, toccare, gustare, parlare, capire, comunicare.
Le tecnologie «non barocche e inutili», come le ha mirabilmente definite il noto geologo Mario Tozzi, e quelle di cui non si faccia un uso patologico, se opportunamente supportate da ausili tecnici definiti anche tecnologie assistive, permettono di fruire e godere dei suddetti diritti, e di superare le barriere digitali, esercitando il diritto alla lettura, alla scrittura, alla cultura, alle attività sociali e al lavoro, con l’uso di dispositivi fissi e mobili e delle varie applicazioni (App), divenute veri e propri strumenti di autonomia, che consentono di vivere una vita integrata o, per usare un termine ancora più forte, inclusiva.

I dispositivi e le applicazioni devono – lo ricordiamo – rispettare i criteri di accessibilità definiti dalla cosiddetta “Legge Stanca” (Legge 4/04), secondo la quale l’accessibilità è «la capacità dei sistemi informatici, nelle forme e nei limiti consentiti dalle conoscenze tecnologiche, di erogare servizi e fornire informazioni fruibili, senza discriminazioni, anche da parte di coloro che a causa di disabilità necessitano di tecnologie assistive o configurazioni particolari».
Questi ausili tecnici permettono di utilizzare i dispositivi tecnologici mediante gli altri sensi funzionanti, superando quindi l’handicap. Nel caso particolare di persone ipovedenti, esistono software per l’ingrandimento di parte dello schermo, che consentono di personalizzare i colori, mentre nel caso di persone cieche assolute o con forte ipovisione, l’ausilio più appropriato è il software di screen reader, vale a dire un lettore di schermo che decodifica in sintesi vocale o su display tattile braille ciò che lo schermo propone di testuale, e perfino le immagini, purché opportunamente descritte con testo alternativo; anche dispositivi touchscreen [a schermo tattile, N.d.R.] possono essere accessibili, se dotati di software simili, pertanto anche senza tastiera fisica.

E tuttavia non esiste un “pulsante per l’accessibilità” delle applicazioni, da schiacciare a fine realizzazione, essendo l’accessibilità un insieme di regole tecniche da rispettare ed essendo pertanto fondamentale progettare a priori, per farlo senza costi aggiuntivi, esattamente in modo analogo alle barriere architettoniche di un edificio, che vanno escluse in fase di progettazione, essendo ovviamente molto più costoso e oneroso eliminarle a costruzione terminata.
In termini economici, progettazione accessibile (o Universal Design) pesano solo per il costo di formazione specifica di progettisti e tecnici.
Affinché tutto ciò sia rispettato e applicato – sebbene in Italia le leggi non manchino – la strada è ancora lunga e in salita, ma la tutela del diritto all’informazione e alla comunicazione può consentire una vita autonoma, nel rispetto della privacy e della libertà personale.

*“Oltre le barriere. Viaggio nelle periferie esistenziali”, a cura di Girolamo Furio e Sandro Montanari, Pioda Editore, 2014.

Consigliera dell’ADV (Associazione Disabili Visivi), con delega per le Problematiche ITC (Information and Communication Technology) per la stessa ADV e per la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), presso i tavoli del Consiglio Nazionale Utenti, AgCom, Sede Permanente del Segretariato Sociale RAI e Commissione Parlamentare di Vigilanza RAI. La presente riflessione costituisce l’adattamento di una relazione presentata alla due giorni formativa di Roma, intitolata “Diritti umani e Diritti dei bambini: sensibilità, coscienze, strumenti”, organizzata il 26 e 27 maggio dall’INPEF (Istituto Nazionale di Pedagogia Familiare) (se ne legga anche una nostra presentazione).

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