Tutto è bene quel che finisce bene, ma…

di Lorenza Vettor*
«Chi vede - scrive Lorenza Vettor, donna non vedente, raccontando la propria impossibilità a recarsi a un concerto in uno stadio - può andare senza l’aiuto di altri a uno spettacolo musicale, a teatro, a una partita di calcio: io no! E questo è un dato di fatto, nudo e crudo, oltre che una discriminazione, alla faccia della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità». «Possibile - aggiunge - che certe cose debbano essere sempre lasciate al volontariato e alla sensibilità umana?»

Particolare di donna cieca con il bastone bianco che attraversa una stradaVoglio condividere con i Lettori di «Superando.it» una mia esperienza di questi giorni, per sottolineare come l’autonomia di chi non vede a volte sia molto, molto difficile da raggiungere…
Parto anzitutto da una norma: l’articolo 30 (Partecipazione alla vita culturale e ricreativa, agli svaghi ed allo sport) della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, che – non lo diremo mai abbastanza – è la Legge 18/09 dello Stato Italiano. Il comma 1 di tale articolo, espressione a propria volta del Principio di Eguaglianza e Non Discriminazione di cui all’articolo 5 della Convenzione stessa, dice: «Gli Stati Parti riconoscono il diritto delle persone con disabilità a prendere parte su base di eguaglianza con gli altri alla vita culturale e dovranno prendere tutte le misure appropriate per assicurare che le persone con disabilità: […] c) abbiano accesso a luoghi di attività culturali…». Non credo dunque vi siano dubbi che anche uno stadio, fra l’altro luogo aperto al pubblico per eccellenza, debba essere un luogo a cui una persona cieca possa avere accesso al pari di tutti gli altri, così come è altrettanto ovvio che anche la musica sia un’attività culturale, oltreché ricreativa…

Perché dico tutto questo? Ecco la mia storia. Domenica 12 e lunedì 13 ci saranno due concerti di Vasco Rossi allo Stadio Euganeo di Padova. A suo tempo mi sono procurata un biglietto. Ma a questo punto, col biglietto in mano, sono iniziati i problemi e mi sono subito chiesta: come fare, giunta allo Stadio Euganeo in taxi, ad arrivare a destinazione? E una volta terminato il concerto, come fare il percorso inverso? Da sola è impossibile… Ecco il primo limite di chi, come me, non vede: chi vede può recarsi senza l’aiuto di altri a un concerto, a teatro, a una partita di calcio: io no!
E questo è un dato di fatto, nudo e crudo, oltre che una discriminazione, alla faccia del succitato articolo 30 della Convenzione ONU.
Non avevo a disposizione una persona che mi accompagnasse… Come fare, allora? Ho posto il mio problema via mail prima al titolare della SIAE di Padova e, su consiglio di quest’ultimo, alla società incaricata della vendita dei biglietti. Come sicuramente immaginerete, non ho risolto niente, poiché la società mi ha risposto che è suo dovere predisporre apposite aree ad hoc dove le persone con disabilità possono stare durante il concerto, però tutto finisce qui; non c’è nessuno che sia obbligato a predisporre un servizio di accompagnamento/assistenza.

A questo punto, non sapendo che pesci pigliare, ho scritto un’altra mail a un artista italiano molto conosciuto, del quale, per motivi di privacy, non farò il nome, ed è stato lui, avendo compreso le mie necessità, a farsene carico, trovando un accompagnatore.
Tutto è bene quel che finisce bene, mi sono detta, però… Possibile che certe cose debbano essere sempre lasciate al volontariato e alla sensibilità umana?

Consigliera della FISH Friuli Venezia Giulia (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).

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