Avendo letto in «Superando.it» delle peripezie toccate a Lorenza Vettor, una gentile fan non vedente di Vasco Rossi, per riuscire ad assistere ad un concerto del suo beniamino, desidero aggiungere qualche ulteriore precisazione alle già ben motivate considerazioni giuridiche da lei esposte.
Dando per scontate le norme antidiscriminatorie della Costituzione italiana e della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, voglio fare riferimento alla più specifica disciplina contenuta nella Legge 13/89 e soprattutto nel Regolamento d’attuazione di essa, emanato nello stesso anno con il Decreto Ministeriale n. 236.
In tali norme, infatti, è stabilito il principio – ancora non entrato fino in fondo nella mentalità dei progettisti e dei funzionari degli Enti Locali – che il superamento delle barriere architettoniche è obbligatorio non solo negli spazi e negli edifici pubblici, ma anche nelle strutture private aperte al pubblico. Ancor meno assimilato, poi, è il concetto che fra le barriere da eliminare ci sono anche quelle senso-percettive, quelle cioè che impediscono a chi non vede o vede male di orientarsi e di evitare i pericoli.
Bene ha fatto quindi la nostra musicofila a protestare con gli organizzatori del concerto di Padova ed è stata anche troppo accomodante ad accontentarsi della loro dichiarazione di avere fatto tutto il proprio dovere, riservando alle persone con disabilità una zona dello stadio, pubblico o privato che sia.
E invece non è affatto così, dato che il combinato disposto – come dicono “quelli bravi” – di due articoli del citato Decreto Ministeriale 236/89* attribuisce anche ai disabili sensoriali il diritto di fruire in sicurezza e autonomia degli spazi e delle attrezzature dei luoghi, sia all’aperto che al chiuso, che siano sedi anche temporanee di riunioni o spettacoli. Quindi, se è vero che gli organizzatori non sono tenuti a fornire gli accompagnatori, è anche vero che un tale servizio non sarebbe sufficiente a far considerare agibili i locali, essendo l’accompagnamento l’esatta antitesi del termine “autonomia” utilizzato dalla Legge.
Ne consegue che l’unico modo per legittimare lo svolgimento di riunioni e spettacoli in un determinato luogo è quello di renderlo accessibile autonomamente anche a chi non vede, fornendolo, anche in via provvisoria, delle piste tattili, che sono riconosciute dalle norme e dalle Associazioni della categoria, come idonee a garantire l’accesso, la fruizione dei servizi, compresi quelli igienici, e l’uso delle vie d’esodo in caso di emergenza. E non si dica che finora si è fatto diversamente, perché l’uso non legittima l’abuso e prima o poi ci sarà chi, invece di ricorrere a soluzioni di ripiego, vorrà far valere i propri diritti e segnalare alle Autorità competenti, Prefettura e Questura, la mancanza dei requisiti richiesti dalla legge per lo svolgimento di attività destinate al pubblico.
Se non ricordiamo male, il Comune di Torino approvò una norma che vietava di dare il patrocinio o contributi per manifestazioni che si svolgessero in locali in cui fossero presenti barriere architettoniche. Ma quella Delibera – ancorché probabilmente disapplicata – è addirittura superflua, essendo superata dalla più cogente prescrizione della legge.
Superiamo quindi la fase del mugugno e, anche se è vero che l’Italia è la culla del diritto, diamo a quest’ultimo la sveglia e non lasciamolo dormire sonni tranquilli!
*L’articolo 3.4 lettera b) del Decreto Ministeriale 236/89 prescrive che «nelle unità immobiliari sedi di riunioni o spettacoli all’aperto o al chiuso, temporanei o permanenti […], il requisito della visitabilità si intende soddisfatto se almeno una zona riservata al pubblico, oltre a un servizio igienico, sono accessibili». L’articolo 2*G) del medesimo Decreto scrive poi che «Per accessibilità si intende la possibilità, anche per persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale, di raggiungere l’edificio e le sue singole unità immobiliari e ambientali, di entrarvi agevolmente e di fruirne spazi e attrezzature in condizioni di adeguata sicurezza e autonomia».
Presidente nazionale dell’ADV (Associazione Disabili Visivi), aderente alla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e vicepresidente dell’INMACI (Istituto Nazionale per la Mobilità Autonoma di Ciechi ed Ipovedenti).
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