Sin dai primi Anni Duemila, la risonanza magnetica funzionale ha dimostrato come per assolvere alle funzioni motorie, cognitive e sensoriali compromesse dalla patologia, il cervello di pazienti affetti da sclerosi multipla sia in grado di “reclutare” aree corticali supplementari e di definire connessioni alternative.
Si tratta di un fenomeno noto come plasticità o riorganizzazione cerebrale, che è stato ampiamente studiato e che è considerato uno dei meccanismi compensatòri innescati per limitare o ritardare i danni funzionali e irreversibili che colpiscono le persone con sclerosi multipla.
E tuttavia, le basi molecolari e cellulari di tale fenomeno non sono state ancora del tutto chiarite, come ancora non sono state esaminate in profondità le possibili interazioni fra riorganizzazione corticale e terapie.
In un articolo recentemente pubblicato dal «Journal of Neuroscience», un pool multidisciplinare di ricercatori delle Università di Verona, Cambridge (Gran Bretagna) e Milano Bicocca ha usato la risonanza magnetica funzionale e morfologica, in combinazione con indagini istologiche post-mortem, per studiare le caratteristiche del rimodellamento corticale, in ratti da laboratorio affetti da EAS (encefalomielite autoimmune sperimentale), un modello animale di sclerosi multipla, durante l’evoluzione della malattia, dai primi segni clinici fino alla cronicizzazione dei sintomi.
Negli animali affetti da EAS, infatti, il reclutamento di aree cerebrali che restano silenti negli animali sani è accompagnato – oltreché da sensibili variazioni volumetriche della materia bianca e grigia – anche da un persistente stato infiammatorio e da segni di patologia a livello delle sinapsi.
Questi dati sono in accordo con quanto riportato dalla letteratura scientifica clinica nell’uomo e qualificano il modello sperimentale come una robusta piattaforma di studio non solo per l’analisi dei meccanismi fisiopatologici alla base dei vari sintomi, ma anche per lo sviluppo di strategie terapeutiche innovative nel trattamento della sclerosi multipla progressiva.
Da ricordare infine che tale studio è stato finanziato dalla FISM, la Fondazione Italiana Sclerosi Multipla che opera a fianco dell’AISM (Associazione Italiana Sclerosa Multipla) e dall’ERC, il Consiglio Europeo delle Ricerche, insieme a un pool di Fondazioni del Regno Unito. (B.E.)
Per ulteriori informazioni e approfondimenti: Barbara Erba (barbarerba@gmail.com).
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