«Il posto giusto per la persona giusta»: credo fosse questo, in sintesi, l’obiettivo fondamentale della Legge 68/99 [“Norme per il diritto al lavoro dei disabili”, N.d.R.]. Ma leggendo in questo periodo autorevoli giudizi, in gran parte negativi, sullo Schema di Decreto Legislativo recante disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico dei cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di lavoro e pari opportunità (176), ho avuto la sensazione che si stia perdendo il senso vero di che cosa significhi il lavoro per una persona con disabilità in una prospettiva inclusiva.
Carlo Giacobini, su HandyLex.org, ha magistralmente esposto ed evidenziato la parte dello schema di Decreto riguardante i «lavoratori con disabilità», vale a dire i primi 13 articoli (l’intero Capo I). Diversi pareri e prese di posizione sono stati espressi e le critiche maggiori si sono concentrate sull’articolo 6 dello schema di Decreto, poiché abolisce la tipologia di «avviamenti con chiamata numerica», estendendo a tutte le imprese private ed enti pubblici non economici la tipologia di «avviamenti per richiesta nominativa».
Benché sia convinto che occorra dare il tempo giusto per un doveroso approfondimento e per una saggia e lucida analisi delle cause della poca incisività dei diversi strumenti finora messi in campo per una piena attuazione del collocamento mirato della Legge 68/99, mi permetto di esprimere un mio modesto parere su quanto finora dichiarato a proposito del citato schema di Decreto n. 176.
Va prima di tutto ricordato che quest’ultimo, se non vado errato, ha in gran parte attinto da concetti e suggerimenti contenuti nel Capitolo 4 – Linee d’Intervento 2 (Lavoro e occupazione) del Programma di Azione Biennale per la Promozione dei Diritti e dell’Integrazione delle Persone con Disabilità [Decreto del Presidente della Repubblica-DPR del 4 ottobre 2013, N.d.R.], redatto dall’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità. Non credo quindi che una folgorante “visione neoliberista” sia intervenuta per svendere, con l’abolizione della chiamata numerica, il diritto al lavoro delle persone con disabilità.
Detto questo, mi permetto di fare alcune altre considerazioni.
Prima considerazione: dalla Relazione sullo stato di attuazione della legge recante Norme per il diritto al lavoro dei disabili (anni 2012-2013), per la Regione Lazio (anno 2013), rilevo, ad esempio, i seguenti dati:
° avviamenti con chiamata numerica: 17;
° avviamenti con chiamata nominativa: 571;
° avviamenti tramite convenzione: 753.
Totale: 1.385.
Ovviamente sono dati assolutamente deludenti in relazione alla domanda, ma significativi in ordine al fatto che quasi certamente non sarà l’abolizione della chiamata numerica a determinare il crollo del collocamento delle persone con disabilità e, men che meno, delle persone con disabilità complessa (intellettiva e/o psichiatrica).
Seconda considerazione: sappiamo tutti, per le diverse esperienze avviate in questi ultimi anni, che nonostante la crisi economica (e non solo!), una buona inclusione lavorativa si raggiunge attraverso un buon percorso di inclusione scolastica e formativa e a seguito di una buona valutazione tra posto di lavoro disponibile e le potenzialità della persona scelta, ma soprattutto se l’inclusione è sorretta da un accompagnamento discreto, competente e durevole nel tempo. Ma gli attuali Centri per l’Impiego oggi non sono attrezzati per fare questo: cioè un buon lavoro di progettazione personalizzata, di accompagnamento e di sostegno nel tempo del processo di inclusione lavorativa. Ecco allora perché apprezzo fortemente le vere e significative novità dello schema di Decreto, ovvero:
– linee guida per una vera direttiva operativa di tutto il processo inclusivo;
– rete integrata di tutti i servizi sociali e sanitari territoriali con INAIL, per un vero sostegno e supporto che accompagni i diversi progetti di inclusione lavorativa;
– accordi territoriali con tutte le forze di settore: sindacati delle due parti (lavoratori e imprenditori), cooperative, associazioni, terzo settore;
– valutazione delle potenzialità su basi multidimensionali ICF [la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, N.d.R.] e ridimensionamento dell’approccio bio/medico;
– analisi delle caratteristiche dei posti di lavoro in riferimento agli “accomodamenti ragionevoli” da adottare, per garantire una buona riuscita dei diversi progetti di inclusione lavorativa;
– istituzione di una banca dati per conoscere l’andamento dei diversi progetti di inclusione lavorativa;
– incentivi per l’assunzione delle persone con disabilità complessa: la concessione del contributo passa dal 60% al 70% e da 36 a 60 mesi.
Terza considerazione: la richiesta dell’ENS [Ente Nazionale dei Sordi, N.d.R.] di ripartire percentualmente i posti di lavoro in relazione alle tipologie di disabilità, si pone fuori della storia e riaccende le lotte suicide tra le diverse associazioni, lotte che, francamente, ritenevo assolutamente superate.
Ultima considerazione: per un buon progetto di inclusione lavorativa servono mediatori bravi e soprattutto servono rassicurazioni al datore di lavoro che la persona inserita sarà costantemente seguita dai servizi (vedi rete integrata promossa dallo schema di Decreto) e che al sorgere di un qualsiasi problema potrà contare su un aiuto rapido e competente.
La generalizzazione degli «avviamenti con chiamata nominativa» non produrrà, quindi, la riduzione o la discriminazione per le persone con disabilità e in particolare per le persone con disabilità complessa: servirà invece, a parer mio, a promuovere un vero e corretto incontro tra domanda e offerta e a modificare finalmente gli attuali sistemi (scarsi, per la verità!) di mediazione e sostegno.
La differenza la faranno le reti integrate di accompagnamento, se si dimostreranno competenti nel disegnare e proporre progetti personalizzati e se saranno in grado di gestire un costante monitoraggio nella ricerca del posto giusto per la persona giusta, accompagnandola in tal modo nell’esigibilità del diritto al lavoro per tutti.
L’inclusione lavorativa per le persone con disabilità – pur non esaurendo tutti gli aspetti del progetto di vita – ne rappresenta comunque un momento fondamentale e dà senso e significato a tutti gli interventi finalizzati al raggiungimento di questo obiettivo, attraverso la messa a punto di un percorso coordinato e coerente dalla scuola alla formazione al lavoro.
Negli ultimi anni, l’inclusione lavorativa ha subìto profondi mutamenti, per effetto di ampi e radicali processi di riforma delle politiche sociali e del lavoro: un intervento efficace esige la presenza di competenze tecniche, innovative e qualificate, nelle quali assumono grande peso le capacità di relazione e di progetto.
Ripeto e insisto nel sostenere che servono servizi competenti per supportare un forte e solido sistema di inclusione sociale e lavorativa.
Non bisogna farsi sfuggire l’occasione che viene offerta da questo Decreto. Più che meccanismi rigidi e automatici di selezione e di accesso, occorre creare un sistema territoriale articolato e differenziato di opportunità, che vada dalla più limpida e puntuale attuazione della Legge 68/99 (la “persona giusta al posto giusto”, ripeto) a tutta una gamma di possibili esperienze (ad esempio: tirocini di diversa denominazione e di diversa natura) che, avendo come punto di riferimento finale l’approdo conclusivo alla Legge 68/99, possano contare su diversi contesti, con tempi e sostegni diversificati.
Occorre smontare rassegnazioni, opportunismi e pigrizie di amministratori, operatori e famiglie, rilanciare i Servizi Sociosanitari di Distretto, meno legati a modelli di intervento bio/medico, ma adeguatamente attrezzati per garantire una presa in carico per tutto l’arco dell’esistenza delle persone con disabilità. Solo così potrà essere possibile modificare i contesti, rendendoli più inclusivi, più attenti alle persone, soprattutto più attenti a quelle persone che “fanno fatica a tenere il passo”. In tal modo ci accorgeremmo che scenari inattesi di cambiamento ci si aprirebbero davanti.
Occorre, quindi, ri-abilitare i contesti e «riconsiderare le routines relazionali tra i diversi contesti e nuovi approcci da parte di tutti, per la ricerca di un benessere sociale che riconosce il valore positivo della diversità e da essa nuove risorse. Questa è una realtà non più come un peso economico passivo e improduttivo, bensì un investimento: lo sviluppo si fa con l’inclusione e non con l’esclusione» (Roberto Medeghini, Giuseppe Vadalà, Walter Fornasa, Angelo Nuzzo, Inclusione sociale e disabilità. Linee guida per l’autovalutazione della capacità inclusiva dei servizi, Trento, Erickson, 2013).
Inclusione sociale in ambiente di lavoro: una proposta
Vorrei infine riportare l’attenzione su un problema ancora non affrontato e che riguarda quelle persone che “prima di un lavoro hanno bisogno di imparare a lavorare”, vale a dire hanno bisogno di tempi e sostegni adeguati, per poter assumere un ruolo sociale che esige rispetto delle regole di convivenza e di reciprocità e delle aspettative altrui.
Mi riferisco a quelle persone che spesso incontrano maggiori difficoltà nell’acquisizione di un tale ruolo sociale. Per loro si vuole ridurre il più possibile la necessità di ricorrere a contesti artificiosi di “intrattenimento” o a programmi assistenziali passivizzanti, con i quali difficilmente si possono raggiungere quei cambiamenti di qualità dell’esistenza che solo i normali contesti della vita sanno produrre.
Per loro il FORUM – Disabilità-Formazione-Lavoro – organismo promosso dall’Opera Don Calabria di Roma e dalla Comunità Capodarco di Roma, sostenuto attualmente da oltre quarantadue organizzazioni del Terzo Settore e da diversi singoli operatori – vuole attivare nuove opportunità di autorealizzazione, in contesti di normalità relazionale e affettiva, attraverso la sperimentazione di un progetto che consenta di inserirsi in contesti di lavoro, essendo convinti che in tal modo sia possibile ridurre i costi dell’assistenza, a fronte di una migliore qualità di vita.
La proposta – rivolta alla Regione Lazio [se ne leggano nel box in calce le caratteristiche, N.d.R.] – riguarda l’approvazione di una normativa regionale che permetta la sperimentazione di progetti di inclusione sociale in ambiente lavorativo, favorendo il mantenimento e il potenziamento delle abilità relazionali e operative e delle autonomie personali raggiunte, al fine di non disperdere del tutto l’investimento operato con l’inclusione scolastica e formativa e svincolando i datori di lavoro da un obbligo con scadenze temporali predefinite di assunzione.
Si tratta di attivare e individuare un ambiente lavorativo idoneo presso i molteplici contesti di lavoro: aziende (sotto i quindici dipendenti), enti pubblici, cooperative sociali, organizzazioni no profit, associazioni di volontariato e altri contesti sociolavorativi che garantiscano un ambiente relazionale accogliente, in grado di offrire ruoli sociali adeguati alle esigenze e capacità della persona. Attività di monitoraggio con operatori pubblici e sistemi di valutazione daranno elementi di efficacia e di generalizzazione dell’esperienza.
Queste modalità di inclusione sono già state attivate dalla Regione Veneto e dalla Regione Liguria: perché non nel Lazio?
La proposta alla Regione Lazio del FORUM – Disabilità-Formazione-Lavoro
Il FORUM – Disabilità-Formazione-Lavoro propone l’approvazione di una normativa regionale per sperimentare Progetti di inclusione sociale in ambiente lavorativo delle persone con disabilità complessa.
Target
Persone con disabilità complessa (disabilità intellettiva e/o psichiatrica) in età lavorativa che presentano:
° una compromissione delle capacità lavorative tale da non permettere, al momento, un inserimento con sbocco occupazionale;
° una sufficiente autonomia personale e relazionale per contesto socio/lavorativo.
Si tratta di persone non iscritte nelle liste speciali da Legge 68/99, presso i Centri per l’Impiego.
Finalità
° favorire recupero, mantenimento e potenziamento delle abilità relazionali ed operative e delle autonomie personali, in continuità con l’inclusione scolastica e formativa;
° permettere l’acquisizione di un ruolo sociale attivo;
° favorire una migliore qualità della vita e realizzare percorsi alternativi all’inserimento in strutture protette;
° ottimizzare l’uso delle risorse.
Attivazione
La normativa regionale, al fine di una corretta condivisione del progetto, definirà le modalità di un accordo-quadro territoriale – necessario e vincolante per l’attivazione del progetto – da stipulare tra le Istituzioni Pubbliche e le rappresentanze delle parti sociali (imprenditori, sindacati e associazioni delle persone con disabilità).
I singoli progetti personalizzati di inclusione sociale in ambiente lavorativo sono avviati dal Servizio che ha la presa in carico, previa valutazione delle capacità e attitudini della persona e delle seguenti condizioni:
° attestazione da parte del Servizio che esercita la presa in carico della sussistenza di capacità complessive che possano svilupparsi in attività di inclusione sociale in ambienti di lavoro; tale valutazione dovrà avvenire, di norma, a seguito di percorsi formativi e addestrativi che abbiano evidenziato l’impossibilità di un collocamento;
° predisposizione del progetto di vita personalizzato (articolo 14 Legge 328/00), attraverso la metodologia operativa budget di salute, che permette di favorire la collaborazione tra servizi sociali e sociosanitari e il coinvolgimento delle realtà del territorio: le famiglie, il volontariato, l’associazionismo, il mondo del lavoro, la comunità civile;
° concorso alla definizione del programma personalizzato: della persona disabile, della sua famiglia, dell’organizzazione ospitante e delle rappresentanze sindacali, se presenti;
° individuazione di un ambiente lavorativo idoneo presso molteplici contesti di lavoro: aziende (sotto i quindici dipendenti), enti pubblici, cooperative sociali, organizzazioni no profit, associazioni di volontariato e altri contesti sociolavorativi che garantiscano un ambiente relazionale accogliente in grado di offrire ruoli sociali adeguati alle esigenze e alle capacità della persona;
° accertamento del rispetto delle norme della sicurezza e salute dei lavoratori (Decreto Legislativo 626/94);
° disponibilità di una persona dell’organismo ospitante a partecipare attivamente al processo di inclusione, in accordo con le rappresentanze sindacali, se presenti;
° presenza di attività semplici, che consentano una positiva integrazione della persona con disabilità.
Convenzione
Il progetto si realizza mediante la stipula di una convenzione tra l’Ente che ha la presa in carico, l’organizzazione ospitante e la persona inserita nel progetto (o la sua famiglia) L’atto deve indicare:
° le finalità e i contenuti del progetto (con riferimento al progetto personalizzato allegato alla convenzione stessa);
° la durata del progetto, la sede, il settore e l’orario giornaliero di permanenza della persona nell’ambiente di lavoro;
° l’impegno dell’ente ospitante a favorire positive interazioni nell’ambiente di lavoro;
° l’impegno della persona con disabilità a frequentare l’ambiente ospitante per il periodo prestabilito;
° l’impegno del Servizio inviante a stipulare adeguate assicurazioni INAIL e RC [Responsabilità Civile, N.d.R.] e a garantire tramite un tutor, il necessario supporto tecnico-psico-pedagogico;
° l’eventuale erogazione alla persona di un sussidio, quale strumento di incentivo e di promozione dell’autonomia personale;
° la precisazione che l’inserimento non si configuri in nessun modo come un rapporto di lavoro;
° la comunicazione da parte del Servizio inviante della stipula della convenzione alla Direzione Provinciale del Lavoro, al Servizio Ispezioni sul Lavoro, ai Servizi per l’Impiego e alle organizzazioni sindacali;
° la convenzione si intende tacitamente rinnovata, qualora persista la condivisione del progetto da parte di tutti coloro che l’hanno sottoscritta.
Monitoraggio e valutazioni
Il monitoraggio periodico del progetto, oltre ad evitare che si verifichino abusi, avrà lo scopo di rendere i programmi coerenti con l’evoluzione della persona, introducendo, se necessario, variazioni che garantiscano tutte le opportunità per il raggiungimento del maggior livello di autonomia e di inclusione sociale possibili, nonché la possibilità di un passaggio a un programma di inclusione lavorativa ex Legge 68/99, nelle diverse modalità previste dalla Legge stessa.
Le azioni:
– osservazione e valutazione costante delle dinamiche relazionali, dei processi di apprendimento della persona in ambiente di lavoro;
– momenti programmati di verifica da parte del tutor del Servizio con il referente aziendale;
– sostegno alla persona e all’ambiente di lavoro;
– sostegno alla famiglia al fine di rielaborare i vissuti e i cambiamenti che l’esperienza comporta;
– invio periodico di report sull’andamento complessivo del progetto a tutti i soggetti coinvolti: Regione, Comuni, ASL, Aziende, Sindacati, Terzo Settore, Associazioni Disabili.