Il golf è considerato uno sport d’élite, ma, come spesso accade, le apparenze possono ingannare. Infatti, sul green, il tappeto erboso delle competizioni, i giocatori con disabilità possono gareggiare insieme a quelli normodotati in condizioni paritarie. Uno sport, dunque, che più inclusivo non si può, come dimostra la carriera del campione inglese Richard Saunders, che nonostante una forma di focomelia congenita alle braccia, partecipa e ottiene ottimi piazzamenti anche a tornei nei quali si confronta con avversari senza disabilità. Gli bastano due bastoni realizzati su misura agganciati agli avambracci per mandare la pallina in buca con una destrezza da far invidia ai golfisti con gli arti superiori perfettamente funzionanti.
Saunders è la “star del golf per disabili” ed è in buona compagnia. Nel mondo, infatti, questo sport appassiona centinaia di atleti con le più diverse disabilità: giocatori non vedenti e ipovedenti, sportivi in carrozzina e con disabilità intellettive e relazionali, atleti con le stampelle e altri con protesi. Il trend di gradimento è in crescita e con ogni probabilità la disciplina sarà ammessa ai Giochi Paralimpici del 2020.
Stesso campo, stesse regole, solo qualche accorgimento
Il golf non richiede eccessivi sforzi fisici ed è caratterizzato da ritmi moderati, con il coordinamento corporeo che prevale sulla necessità di forza, ciò che lo rende praticabile senza apportare grandi modifiche al regolamento.
Scopo del gioco, com’è noto, è colpire una pallina con diversi bastoni, utilizzando il minor numero di colpi, e farla entrare nelle buche del percorso che sono 9 o 18. In àmbito dilettantistico, quando golfisti alle prime armi si confrontano con colleghi esperti, viene utilizzato un sistema che, per ironia della sorte, ha un nome che i giocatori con disabilità notano senza dubbio con ironia: handicap. Si tratta di un sistema a vantaggio, comunemente chiamato appunto “ad handicap”, per cui più un giocatore è bravo, meno colpi gli sono concessi per chiudere una buca.
Il golf è l’unico sport con palla dove il terreno di gioco non è standardizzato, ma presenta ogni volta un design differente. Potrebbe essere un limite per chi ha problemi di deambulazione, ma l’accessibilità è garantita da speciali carrozzine progettate specificatamente in base alle direttive dell’ADA (l’Americans with Disabilities Act del 1990, ovvero la Legge sugli Americani con Disabilità) e accettate in tutti i più importanti green internazionali.
Sono macchine che paiono uscite da un film di fantascienza, come la Paragolfer, prodotta da un’azienda tedesca per i giocatori che non muovono le gambe. Il sedile della carrozzina si solleva e issa la persona in posizione eretta davanti alla pallina, che così può essere colpita agevolmente. Un controbilanciamento di 180 chili evita il ribaltamento dell’atleta, un ombrello lo ripara dal sole e siccome il golf ama la natura, le gomme della Paragolfer sono studiate per non rovinare il manto erboso.
Per i giocatori non vedenti, invece, vi sono due accorgimenti. Secondo quanto fissato dall’Antico Golf Club Reale scozzese di St. Andrews, è previsto un coach che li aiuta ad allinearsi prima del colpo e, quando entrano nel bunker (la buca di sabbia), a differenza dei golfisti senza disabilità, possono appoggiare il bastone.
Campionesse e campioni d’Italia
La categoria Blind, riservata ai non vedenti e suddivisa in tre sottocategorie (B1, B2 e B3), conta in Italia degli autentici assi. Andrea Calcaterra, milanese classe 1952, gioca ad esempio da quando era bambino e negli Anni Settanta è stato uno dei migliori dilettanti italiani. Alla fine degli Anni Novanta un abbassamento del campo visivo lo ha costretto a interrompere l’attività sportiva e nel ’98 ha perso definitivamente la vista. Più per sfida che per agonismo, nel 2002 ha deciso di ricominciare e non hanno tardato ad arrivare risultati sia in campo nazionale che internazionale, ultimo in ordine di tempo il secondo posto nella categoria B1 Uomini alla World Blind Golf Championship in Australia nel 2014.
La gratificazione maggiore, per lui, è essere riuscito a coinvolgere giovani promettenti, come Mirko Ghiggeri, ventinovenne ipovedente di Chiavari (Genova), primo nella categoria B2 Uomini ai British Blind Open di Belfast nel 2014, e Stefano Palmieri, quarantenne non vedente di Follonica (Grosseto), che si è classificato quarto al suo primo Open d’Italia nel 2013.
Non manca nemmeno un’elegante lady, Chiara Pozzi Giacosa. Giocava a golf da ragazzina, era «una buona giocatrice, ma nulla più di questo», come afferma lei stessa. Dopo avere perso la vista in seguito a un intervento di chirurgia estetica, ha ripreso a giocare ed è diventata una fuoriclasse. Nel 2010 si è laureata campionessa del mondo dei non vedenti in Inghilterra, ha riconquistato il titolo nel 2012 in Canada, nel 2014 è arrivata prima nella categoria Ladies ai British Blind Open, prima assoluta nella categoria pareggiata e prima nella categoria B1 a Dublino, e questi sono solo alcuni dei suoi successi. «Giocare a golf – asserisce convinta – ha cambiato la mia vita, l’ha resa divertente, interessante, entusiasmante. Mi arrabbio quando faccio un brutto colpo e sono felicissima quando sento la palla che vola, raggiunge il green e va in buca».
Chiara, Andrea, Mirko e Stefano sono i quattro giocatori di livello internazionale appartenenti alla BlindGolfItaly, l’associazione sportiva dilettantistica non profit che promuove il golf come sport di aggregazione per le persone con problemi alla vista e predispone corsi di istruzione teorici e pratici.
La BlindGolfItaly è una “costola” dell’AIGD (Associazione Italiana Golf Disabili), costituitasi nel 1998, la prima organizzazione nel nostro Paese ad occuparsi di golf per giocatori con disabilità. Divenuta nel tempo FIGD (Federazione Italiana Golf Disabili), nel 2014 ha passato il testimone alla FIG (Federazione Italiana Golf), affiliata sia al CIP (Comitato Italiano Paralimpico) che all’EDGA (European Disabled Golf Association), l’organismo che riunisce diciassette Federazioni che si occupano di questo sport per atleti con disabilità.
«È l’anno zero per il nostro movimento. L’ingresso nella Federazione Italiana Golf, che ha preso a cuore la causa degli atleti con disabilità e a cui va tutto il mio ringraziamento, dal Presidente all’intero staff, rappresenta una svolta epocale e significa, per tutti noi, un salto di livello elevatissimo. Il fatto di essere allenati da un professionista e un atleta come Gianluca Crespi, direttore tecnico della FIG, è un ulteriore indice dell’attenzione che la Federgolf ha riservato al nostro movimento».
Sono parole, queste ultime, pronunciate da Pierfederico Rocchetti, campione italiano di golf per disabili nel 2014, il primo golfista disabile in Italia e il secondo in Europa ad essere stato invitato a partecipare a una gara per professionisti normodotati.
Nato nel 1972 a Roma, Pierfederico proviene da una famiglia che ha il green nel DNA. Gareggia da quando aveva 15 anni e l’emiparesi a una mano non l’ha allontanato dallo sport. Può vantare 11 Open internazionali, e di essere stato per quattro volte al vertice della classifica europea e quarto in quella mondiale, primo dei dilettanti. «Il golf è uno sport meraviglioso – dice – insieme alla vela, l’unico concretamente integrato, dove atleti con disabilità e “normodotati” possono gareggiare insieme».
Poco conosciuto anche tra le discipline adattate, il golf comincia lentamente a uscire allo scoperto. Oltre alla valenza sul piano fisico, non sono trascurabili i vantaggi sul piano psicologico perché chi fa sport diventa consapevole delle proprie potenzialità, con il valore aggiunto della socializzazione all’aria aperta, in contesti paesaggistici di estrema bellezza.
L’Italia ha una tradizione di tutto rispetto; sono numerosi, infatti, i campi in cui si disputano gare con golfisti disabili, a partire dal Circolo Golf e Tennis di Rapallo (Genova), il primo del Paese ad ottenere il certificato per l’accoglienza dei giocatori con disabilità. Tra gli atleti di casa nostra, oltre ai nomi già citati, ne potremmo elencare molti altri con un ricco carnet di vittorie, golfisti che in alcuni casi hanno sempre praticato questo sport, altri che vi si sono avvicinati in seguito a problemi di salute, altri ancora che hanno alle spalle successi anche in discipline diverse.
Ma vogliamo chiudere questa carrellata sulle diverse abilità del golf con un tocco “rosa”, un’eccellenza di nome Camilla Bernini. Dal 2012 allena la squadra femminile di golf del Montgomery County Community College, negli Stati Uniti. Un’italiana “da esportazione”, dunque, vincitrice di oltre duecento titoli, ciò che già di per sé sarebbe una notizia, ma che assume connotati di straordinarietà quando si scopre che a Camilla manca il braccio sinistro, amputato in seguito a un gravissimo incidente stradale. Giocava a golf anche prima come amateur, ha continuato dopo l’incidente alzando sempre più l’asticella e diventando, nel 2006, insegnante professionista.
È stata la prima tesserata della Federazione Italiana Golf Disabili, per lei è stata prodotta una protesi ad hoc in grado di scomporre il movimento di gomito, polso e dita. Una protesi sfiorata dalle polemiche, dal momento che Camilla tira meglio di tanti giocatori con le braccia in carne e ossa.