Quando nell’ormai lontano 1979, ignara di leggi, norme e diritti delle persone con disabilità, mi recai dal direttore della scuola in cui sarebbe dovuta essere iscritta mia figlia Claudia, spiegando le sue condizioni e l’impossibilità per lei di frequentare la scuola, pensavo – come molti ancora oggi – di avere fatto il mio dovere di madre e cittadina, ma allora non conoscevo l’incivìltà, la carenza morale e civile di chi spesso è a capo di Istituzioni Pubbliche… Il direttore, “ovviamente”, mi disse che non c’erano problemi se le condizioni erano quelle descritte, e a Claudia fu così rubata una delle prime grande opportunità, il diritto allo studio. Per lei si aprì quindi la porta del Centro Educativo Comunale, che però chiudemmo volontariamente nel 1984 per una serie di motivi che sarebbe troppo lungo stare qui a spiegare. Fu comunque la testimonianza di un’altra grave carenza dell’Ente Pubblico, che invece di cercare di comprendere le motivazioni, era interessato maggiormente alle pratiche burocratiche. L’importante era che firmassimo la rinuncia alla frequenza!
Sono passati quasi quarant’anni, e ancora, pur con qualche miglioramento dovuto soprattutto alla Legge Quadro 104/92, i genitori si trovano a dover combattere ogni anno, ogni giorno, per il diritto allo studio, all’integrazione scolastica, a esserci nella vita quotidiana di tutti gli esseri umani, a partecipare alla società fin dall’infanzia e fin dalla scuola, luogo di incontro, scambio, crescita per tutti.
Tutto questo in un Paese che si dice civile, che continua a celebrare una giornata all’anno per le persone con disabilità, per poi dimenticarsene negli altri 364. Personalmente credo che se non fosse per la determinazione di molti genitori, questo Paese così “civile” manderebbe “al rogo” o lascerebbe morire d’inedia chi, come mia figlia, ha problematiche di salute importanti, motorie, sensoriali e cognitive. Loro, i nostri figli, sono “costi”, costi improduttivi per la politica, spesso anche per la classe medica, e per molti dei cittadini che non conoscono la disabilità di un figlio.
Questo modo di pensare, però, non solo è incivile e segno di disumanità, ma è anche diseducativo per le future generazioni, che già presentano particolare aggressività verso le persone più fragili.
Forse è il momento di preoccuparci veramente tutti di questi temi che sembrano non doverci toccare mai, ma che in un mondo globalizzato come quello presente, incontreremo tutti, inevitabilmente, magari non oggi, non domani, ma nel corso della nostra vita certamente sì.
Non si dica allora che «non sapevamo, non conoscevamo, non immaginavamo», perché quello che succede oggi agli alunni con disabilità, agli anziani indifesi, domani potrà capitare a tutti noi, perché avremo girato il viso dall’altra parte.