Con il termine BCI (Brain Computer Interface, ovvero “Interfaccia cervello computer”), si intende una tecnologia che permette una comunicazione diretta tra il cervello e un dispositivo esterno quale un computer. Tale comunicazione è basata sulla lettura e la successiva decodifica del segnale elettrico cerebrale, rilevato attraverso un casco con sensori simili a quelli usati per l’elettroencefalogramma. Attraverso una BCI, dunque, è possibile fornire al cervello un nuovo canale di controllo dell’ambiente circostante che non prevede l’uso dell’apparato muscolare. Tale interfaccia, infatti, si pone l’obiettivo di rilevare le attività cerebrali prodotte attraverso lo scambio di segnali elettrici tra un numero elevatissimo di neuroni, utilizzando queste informazioni per inviare comandi ad un computer. E se tutto ciò, appena pochi anni fa, era ipotizzabile solo in film o in racconti di fantascienza, oggi le BCI trovano applicazione sperimentale nelle tecnologie assistive, quale supporto funzionale per persone con disabilità.
Ad esempio, si è riusciti, con successo a far sì che una persona con disabilità motoria comandi il movimento di una sedia a rotelle su percorsi predefiniti, o che una persona sorda non verbale attivi la riproduzione – tramite la sintesi vocale – di frasi predefinite, sempre attraverso l’acquisizione e l’interpretazione di segnali elettrici encefalici.
All’interno di vEyes (virtual Eyes) – ONLUS nata lo scorso anno dall’omonimo progetto – un team di lavoro coordinato da chi scrive [Massimiliano Salfi, N.d.R.] e formato dai laureandi in Medicina Cecilia Chiarenza e Chiara Battaglia, dal laureando in Informatica Andrea Caruso e da un gruppo di studenti di Ingegneria Elettronica e Informatica, tutti interni all’Università di Catania, si pone l’obiettivo – con il Progetto visual BCI – di registrare e studiare, in una prima fase, l’attività elettrica cerebrale associata alla sollecitazione di stimoli visivi, provando a determinarne un modello di decodifica, attraverso l’uso di interfacce monodirezionali.
Le attrezzature necessarie all’avvio di questa prima fase, oltre ai fondi per il rimborso spese al team di lavoro, sono state donate dall’ATRI (Associazione Toscana Retinopatici ed Ipovedenti), nel frattempo divenuta anche sede territoriale toscana di Retina Italia, organizzazione aderente alla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).
Uno degli obiettivi principali, però, per tali studi e ricerche propedeutiche è quello di dedicarsi, in una seconda fase, e con l’utilizzo di apparecchiature e sensori di altra natura, allo studio e alla progettazione di BCI bi-direzionali, le quali uniscano a quanto detto anche un canale di comunicazione con una linea di ritorno, che dovrebbe permettere lo scambio di informazioni tra il dispositivo esterno e il cervello. Il tutto al fine di riuscire a ipotizzare tecniche di trasmissione di segnali diretti, al cervello, attraverso i quali provare a indurre la percezione di stimoli visivi.
Università di Catania. Presidente e responsabile scientifico dell’Associazione vEyes (virtual Eyes).
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