Renegades è il titolo di una canzone che negli ultimi mesi sta collezionando migliaia di passaggi radiofonici in tutto il mondo. Complice lo spot del modello fuoristrada di una nota casa automobilistica, che l’ha scelto come colonna sonora, il motivo incalzante e orecchiabile è diventato un tormentone anche in Italia. Impossibile restar fermi quando parte il ritornello, quel ritmato «and I say hey, hey hey hey living like we’re renegades» (tradotto, “e lo dico, viviamo come fossimo rinnegati”) è un invito irresistibile a muoversi a tempo, la musica evoca strade che conducono lontano, libertà e paesaggi incontaminati.
Autori del successo sono quattro ragazzi all’esordio discografico con l’album VHS. Si chiamano Sam Harris, Casey Harris, Noah Feldshuh e Adam Levin, meglio noti al pubblico come X Ambassadors. Originari di Ithaca, nello Stato di New York, sono i classici giovani irrequieti che nelle canzoni raccontano il rapporto di amore-odio con la provincia americana, il legame a volte complicato con le origini, il desiderio di andarsene. Loro hanno assecondato l’indole di “rinnegati”, renegades appunto, e hanno rincorso il sogno della musica nella Grande Mela. Fattisi conoscere e apprezzare da un importante produttore, a sorpresa, il viaggio della vita ha riportato questi “novelli Ulisse” ad Ithaca, dove tutto era cominciato, perché spesso è la lontananza a mostrare il valore delle radici. Quelle radici che si trovano in VHS, dove tredici brani sono intercalati da sette clip audio originali della loro infanzia, dell’adolescenza e dei primi anni della band.
È la storia di un’affermazione planetaria, ma gli X Ambassadors non sono solo “canzonette”. Se da un lato Renegades è figlia di un’irrefrenabile voglia di scappare comune a tanti ragazzi, infatti, il video che accompagna la canzone fa comprendere che quei “rinnegati” sono anche le persone con disabilità alla ricerca di una loro dimensione. Fin dall’introduzione, infatti, ci sono non vedenti, persone amputate prive delle braccia o delle gambe oppure di tutti gli arti che scalano montagne, sfrecciano sullo skeateboard, combattono sul ring, fanno lotta greco-romana e sollevano pesi.
Il video è stato con ragione descritto come un “inno all’imperfezione” perché, più di tante parole, insegna l’importanza di dare forma alla propria esistenza, all’insegna di quella libertà che il tastierista del gruppo, Casey Harris, definisce «essere in grado di fare quello di cui hai bisogno per sentirti completo nella vita».
Casey è cieco dalla nascita a causa della sindrome di Senior-Loken, una rara patologia che provoca distrofia retinica e problemi renali cronici. Circa sei anni fa, quando aveva 23 anni, la madre gli ha donato un rene. Ha l’aspetto di un intellettuale biondo bello e dannato, veste di scuro, unica sporadica concessione al colore, le scarpe da ginnastica.
Negli X Ambassadors è in compagnia del fratello Sam, frontman, cantante e principale compositore del gruppo. Sul finale del video Renegades, scendono da una macchina con gli altri della band, Casey con il bastone bianco e Sam accanto che gli posa una mano sulla spalla, mentre passeggiano di notte nei vicoli di una città. In un’intervista al «New York Times» ha detto di considerarsi un ragazzo fortunato, grato alla mamma per ciò che ha fatto per lui.
Si è raccontato a cuore aperto, facendo emergere i dettagli di una quotidianità che deve fare i conti con disagi e relativi accorgimenti per superarli, una realtà in cui possono rispecchiarsi tutti i non vedenti. Ama leggere, ad esempio, e gli audiolibri sono strumenti fondamentali per assecondare questa passione. Conta molto per Casey la capacità del narratore di coinvolgere nella trama, un bravo lettore rende eccezionale anche un racconto mediocre, di contro, una narrazione noiosa può avvilire un libro stupefacente. Grande appassionato di scienza, ha divorato The Martian di Andy Weir (pubblicato in Italia dalla Newton Compton con il titolo L’uomo di Marte), storia di un astronauta catapultato sul Pianeta Rosso, che deve ingegnarsi per sopravvivere, e si è rivisto nel protagonista del Cardellino di Donna Tartt, un ragazzo autodistruttivo com’era Casey prima dei vent’anni. «Se potessi dire qualcosa ad una versione più giovane di me stesso – ammette – gli direi: “Fidati di più del tuo istinto; non devi combattere contro te stesso, ma solo fare quello che senti è giusto, perché la maggior parte delle volte è quella la scelta vincente”». Segue le serie TV, gli piacciono sia le commedie che gli spettacoli drammatici, ma i dialoghi veloci sommati ai rapidi cambi di inquadratura che non può seguire visivamente, gli impediscono di cogliere dettagli cruciali delle vicende ed è costretto a cercare su internet una descrizione, per essere certo di non aver perso nulla di essenziale.
E veniamo alla musica che naturalmente ha una parte importante per il tastierista degli X Ambassadors, primi nella US Alternative Songs e terzi nella US Rock Songs, classifiche musicali statunitensi contenute nella rivista «Billboard», vera e propria “Bibbia” del settore.
Come il fratello e i suoi compagni (Noah e Adam sono amici conosciuti a scuola), si è lasciato ispirare da tutti i generi musicali. Ultimamente, appena il tour e gli impegni dopo il successo di Renegades gliel’hanno permesso, ha iniziato a dilettarsi nel repertorio jazz. L’era digitale ha trasformato le tastiere in computer con menù di programmazione sullo schermo, difficili da utilizzare per chi ha problemi alla vista. Casey è riuscito a porvi rimedio con un modello particolare, la Nord Lead 4, uno dei pochi marchi moderni ad elevate prestazioni che consente di controllare le funzioni con una manopola o un pulsante.
La storia della musica annovera persone con disabilità che hanno raggiunto vertici di bravura e notorietà. Solo per citarne alcuni, andando indietro nel tempo, vengono subito in mente Beethoven, non udente, “papà” di sinfonie immortali, e Niccolò Paganini, virtuoso del violino con la sindrome di Marfan. Più recentemente, Michel Petrucciani, pianista jazz tra i più talentuosi di sempre, affetto da osteogenesi imperfetta. Per non parlare dei cantanti e compositori non vedenti, da Ray Charles a Stevie Wonder, passando per il nostro Andrea Bocelli.
È un po’ prematuro inserire nell’elenco Casey Harris, deve farne ancora di strada, il ragazzo, prima di affermarsi come gli illustri predecessori. Però un merito ce l’ha già: prima di lui non si era mai visto un musicista con disabilità in una band di tendenza, di quelle che mandano in visibilio le ragazze. Casey ha sdoganato lo stereotipo del disabile che fa musica “impegnata”, regalando un tocco di leggerezza, senza dimenticare di imprimere un “appunto” nella società omologata.
Lo dice anche il fratello Sam: «Bisogna sempre essere se stessi e rimanere fedeli a chi si è veramente: è questo il messaggio che vogliamo ribadire, anche se sappiamo che è una verità universale. Sin dall’inizio, come band, non abbiamo avuto paura di essere diversi: è difficile andare controcorrente! Riconoscere l’importanza di essere unici è fondamentale».
Lo ribadisce Casey: «È un messaggio importante, quello che cerchiamo di comunicare con la nostra musica: che essere imperfetti è okay. La perfezione è eccessivamente sopravvalutata, ed è bello essere imperfetti, essere anormali e un po’ strani».
Quindi, per dirla con gli X Ambassadors, «accogli tutti i più sfortunati, accogli tutti i nuovi ragazzi, tutti fuorilegge, gli Spielberg e i Kubrick, è giunto il nostro tempo per fare una mossa, è il nostro tempo per fare ammenda, è il nostro tempo di rompere le regole. Cominciamo…».