Grazie al lavoro ventennale dell’Associazione catalana Dones No Estàndards, è stata recentemente fondata a Barcellona l’Associació Internacional per la Presència Pública de les Dones i les Dones amb Discapacitat (“Associazione Internazionale per la Presenza Pubblica delle Donne e delle Donne con Disabilità”), organismo che, partendo dalla consapevolezza della mancanza di riconoscimento sociale e politico delle donne e delle donne con disabilità in tutto il mondo, è nato in primo luogo per avviare i processi culturali e politici necessari a garantirne la piena partecipazione.
A Barcellona, nonostante i problemi ancora esistenti, e grazie alla lotta costante che ha portato al potenziamento della loro vita sociale, le donne con disabilità di Dones No Estàndards hanno raggiunto un significativo livello di partecipazione sociale e politica, ma, come nel resto del mondo e dell’Europa, la maggior parte delle donne con disabilità non sono ancora considerate come protagoniste e soggetti pubblici produttivi (in senso culturale e sociale e non solo economico).
Infatti, nei Paesi del Nord Europa, dove le politiche di welfare offrono sicuramente prestazioni elevate, si assiste a una costante segregazione sociale, che impedisce lo scambio sociale tra le donne con disabilità e il resto della società; nei Paesi del Sud Europa, invece, o in quelli in cerca di sviluppo o emergenti, le prestazioni sociali sono sicuramente carenti, ma, almeno da quanto emerso in occasione dell’incontro sulla condizione delle donne con disabilità tenutosi il 26 e 27 novembre scorsi a Barcellona, le donne con disabilità sono più presenti nella società.
E tuttavia, in entrambi i casi la donna con disabilità è considerata come una persona “priva di capacità” e non in grado di contribuire alla vita sociale e politica. Una persona di cui semplicemente ci si deve prendere cura, sempre che vi siano le risorse sufficienti.
Per comprendere questa situazione, si deve far riferimento al doppio significato della parola politica: politica esercitata nello spazio pubblico-reale e politica esercitata nello spazio del potere, cioè potere di influenzarne le azioni, le decisioni, le opinioni, i pensieri. In tal senso si assiste sicuramente a una differenza sostanziale tra i Paesi del Nord e quelli del Sud Europa: relativamente infatti alla politica esercitata nello spazio pubblico-reale, le donne con disabilità del Sud Europa hanno raggiunto un discreto, ma non soddisfacente, livello di partecipazione, mentre non è così per quelle dell’Europa del Nord. Riguardo invece alla politica quale spazio per l’esercizio del potere, le donne con disabilità del Nord Europa vi partecipano maggiormente e in modo significativo.
L’immagine che abbiamo tratteggiato in base alla nostra esperienza e che ci ha portato a riflettere sulle due accezioni del concetto di politica, ci conduce, allo stesso tempo, verso una riflessione più approfondita sull’importanza della partecipazione delle donne nell’arena politica.
La prima definizione della parola politeia (da póleis) viene attribuita ad Aristotele, il quale indica la politica come l’arte di amministrare una città per il bene comune, cui partecipa tutta la società e indica, pertanto, l’attività di governare un Paese. Per il filofoso greco, la politeia non è la realizzazione del Bene Assoluto, bensì l’assicurazione delle condizioni che permettano il “vivere bene” (Politica). La politeía diviene dunque sinonimo di forma retta di governo, in cui governa la maggioranza, ma sono sovrane le leggi.
Pertanto, nell’antica Grecia dove è nata, le due accezioni del concetto di politica, cui abbiamo fatto riferimento, coincidono. Si assiste, infatti, al passaggio in virtù del quale il potere abbandona i palazzi aristocratici in cui era stato esercitato per secoli, per trasferirsi nell’Agorà, dove gli uomini (e solo gli uomini) trattavano gli affari pubblici, ovvero nello spazio pubblico-reale per eccellenza, ma anche nello spazio politico dell’esercizio del potere. È chiaro, infatti, che un uomo, per potere organizzare e trattare le questioni pubbliche, ha bisogno del potere, il potere di decidere cosa sia meglio per la Comunità.
Come ad Atene – dove per la prima volta si verifica questo passaggio e che resterà il riferimento ideale per l’organizzazione democratica anche nelle società in cui oggi viviamo – l’esercizio della politica – intesa come partecipazione e piena cittadinanza – è appannaggio di un ristretto numero di persone, in maggioranza uomini, mentre per le donne lo status è quasi sempre di minorità che non dà quindi adito ai diritti dei maggiorenni maschi.
Se ciò è vero per le donne, lo è ancor di più per le donne con disabilità, a causa del pregiudizio pseudo-biologico sulla disabilità stessa. Infatti, anche se negli ultimi decenni si è assistito ad un ampliamento a livello globale della partecipazione delle donne al processo decisionale, la presenza delle donne con disabilità nella vita politica e pubblica rimane trascurabile nella maggior parte delle società, dove le misure adottate per migliorarne la partecipazione restano sempre inadeguate.
Per le donne con disabilità, come per ogni altro essere umano, partecipazione significa effettiva possibilità e abilità di azione di perseguire scopi e obiettivi a cui assegnano valore, indipendentemente dal fatto che questi abbiano o meno una ricaduta sul proprio tenore di vita o sul proprio benessere.
In primo luogo, significa libertà di scelta, cioè la possibilità effettiva di scegliere liberamente quali azioni intraprendere, quali traguardi realizzare, quali piani di vita perseguire, attribuendo ad essi un valore, non solo strumentale, ma propriamente intrinseco alla sua natura. In secondo luogo, significa libertà di poter disporre tra una pluralità di opzioni disponibili nello spazio delle capacità, ciò che dà sostanza e valore all’idea di sviluppo e di benessere.
Premesso quanto sopra, la citata Associazione Internazionale per la Presenza Pubblica delle Donne e delle Donne con Disabilità nasce quindi per perseguire alcuni precisi obiettivi:
° Costruire uno spazio in cui la politica dello spazio pubblico-reale e quella dello spazio del potere coincidano. Creare cioè società in cui le persone presenti nelle strade, nelle piazze, nei mercati e non solo quelle delle Istituzioni di Governo, a tutti i livelli, possano esercitare la piena cittadinanza. In particolare, ciò è fondamentale per le donne con disabilità; infatti, la cittadinanza attiva presuppone il conseguimento della cittadinanza formale, e ciò significa che per divenire una pratica reale e concreta per le donne con disabilità, esse devono svolgere un ruolo attivo nella comunità in cui vivono ed essere parte attiva e significativa in tutte le scelte che riguardano la loro vita.
° Garantire la piena partecipazione delle donne con disabilità. È chiaro che per questo è necessario avviare una riforma delle politiche che, in modo efficace ed efficiente, riesca ad accrescere il benessere di queste donne, concentrando l’attenzione sulle loro opportunità e potenzialità, al fine di permettere loro di ampliare le scelte e di fruire dei propri diritti.
° Far riconoscere il valore intrinseco della donna con disabilità. La valorizzazione del suo corpo o tecno-corpo “anormale” permette, nelle nostre società “normaliste”, di rompere le norme sociali stabilite e di superare la “paura del diverso” che è alla base di tutte le forme di violenza e violazione dei diritti umani. Poiché la diversità è pervasiva negli esseri umani, porre attenzione alle donne con disabilità consente di superare il dilemma delle differenze. Infatti, ciò permette di focalizzarsi sulle specificità della situazione e dei bisogni del singolo, uomo o donna, senza imprigionarlo con un’etichetta immutabile.
Per ulteriori informazioni e approfondimenti: donenoestandards@hotmail.com.