In qualità di genitore di un bambino autistico e come componente del Gruppo Autismo del Comitato delle Famiglie per l’Attuazione della Legge 162/98 in Sardegna, credo sia necessario spendere due parole riguardo all’articolo di Giovanni Maria Bellu, intitolato Nessun parco giochi per i ragazzi autistici. L’occasione perduta dal comune di Cagliari, apparso qualche giorno fa in «SardiniaPost.it».
Premetto che il parco inaugurato dal sindaco di Cagliari Massimo Zedda e dall’assessore comunale all’Urbanistica Paolo Frau è un’area di 4.700 metri quadri, prima destinata a parcheggi, che è stata intitolata a Siro Vannelli, noto botanico che si è occupato per anni del verde cittadino. Si tratta di una cosa molta bella che, al di là di come la si pensi politicamente, merita un riconoscimento di buona pratica amministrativa del territorio (almeno questa).
Partendo poi dal titolo dell’articolo di Bellu – Nessun parco giochi per i ragazzi autistici. L’occasione perduta dal comune di Cagliari – verrebbe subito da pensare a una disfatta, un’ingiustizia, l’ennesimo gesto di noncuranza nei confronti delle persone autistiche; invece no, a un’attenta lettura, infatti, mi pare di rilevare più una delusione di Bellu e quindi una questione personale, che non una pratica scorretta e sleale.
Comprendo pienamente la problematica in discussione, essendo io stesso, come detto, padre di un bambino autistico, ma non condivido l’impostazione, la sostanza e l’assunto dell’articolo.
Cagliari è tra le principali città in Italia per spazi verdi, e questo parco è “ l’ennesimo” di una lunga serie che in questi anni sono stati sistemati e resi fruibili a tutti.
Nel suo articolo Bellu lamenta l’assenza di spazi verdi nei quali poter stare con il suo ragazzo autistico a correre senza rischiare di far male a nessuno. Questa pretesa è quanto meno ingenua, dato che potrebbe accadere la stessa cosa in un ambiente dedicato unicamente o prevalentemente a persone autistiche, o forse Bellu non si è posto la domanda: mio figlio potrebbe fare “involontariamente” del male a un suo “collega” autistico durante le sue folli corse? Forse non lo sapremo mai, chissà…
Ma ancora non siamo al punto della questione, il punto infatti è un’altro, è ben altro. Per Bellu l’occasione persa dal Sindaco consiste nel non avere istituito questo nuovo parco destinandolo ai disabili, riprendendo quanto dichiarato sulle pagine di Facebook dallo stesso sindaco Zedda: «Uno spazio che è stato progettato pensando anche alle richieste arrivate nel tempo da associazioni e genitori che convivono con l’autismo perché possa essere un giardino per tutti». Che lui, Bellu, commenta così: «Già, il problema è che tutti i giardini sono di tutti. Nessuno è per i disabili».
La critica di questo articolo si snoda tutta qui, nella promessa mancata da parte del Sindaco nei confronti di genitori e associazioni di persone autistiche (dei quali non c’è traccia nell’articolo, chi sono esattamente?) di una destinazione – come specifica Bellu stesso proseguendo nell’articolo – «non esclusivamente per i nostri figli, ma preliminarmente per i nostri figli».
Questo è il punto che sinceramente non mi sento di condividere dell’articolo di Giovanni Maria Bellu. Infatti, malgrado capisca le sue ragioni profonde, non posso assolutamente trovarmi d’accordo con questa posizione, anche perché l’impegno di questi anni da parte di genitori, associazioni e di tante persone che a vario titolo si sono occupate di autismo non ha mai ragionato o pensato di farlo in quella direzione, nei luoghi “per”, nei luoghi prevalentemente/preliminarmente destinati a persone autistiche. La mia/nostra linea di indirizzo è l’esatto opposto, cioè creare tutte le condizioni per cui persone autistiche e non autistiche possano condividere e vivere gli stessi spazi, pubblici o privati che siano, in totale inclusione e integrazione, in uno scambio di esperienze reciproco che non “avvantaggi “ né l’uno né l’altro, ma che fornisca ad entrambi gli strumenti e la possibilità di esprimere al meglio e al massimo la propria personalità.
Sono certo che Bellu non vuole e non vorrebbe un “ghetto di autistici”, ne sono convinto, e tuttavia mi preme ricordare che ciò che manca e che servirebbe fortemente in questo momento non sono i parchi “preliminarmente dedicati agli autistici”, ma bensì una cultura sull’autismo. Quella sì – se fosse maggiormente e professionalmente diffusa tra le persone che non hanno in famiglia delle persone autistiche – contribuirebbe ad agevolare l’andata in qualsiasi parco cittadino (e la scelta non manca), senza aver paura di essere guardato di traverso e con preoccupazione da persone che non sanno, e proprio per questo ignorano, che di quegli atteggiamenti non c’è da aver paura. Ma si sa, spesso la paura nasce dall’ignoranza.
«Preferiamo ritenere – commenta Vincenzo Falabella, presidente nazionale della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) – che le ipotesi espresse nascano dalla buona fede o da rispettabili percorsi umani spesso dolorosi. E tuttavia non possiamo che ribadire fermamente la posizione della nostra Federazione: siamo visceralmente contrari a qualsiasi “soluzione speciale”, qualsiasi prassi che – adottata apparentemente per rispondere ad esigenze particolari – finisca inevitabilmente per generare esclusione o isolamento. “Scuole speciali”, “istituti speciali”, “parchi speciali”… non appartengono alla nostra visione inclusiva. Sembra invece che, ben al di là del caso in sé, la tentazione sia quella di risolvere i problemi separando le persone dai contesti in cui invece l’inclusione dev’essere realizzata e garantita. Il caso, ad esempio, del genitore che cambia città e sceglie per il figlio un “istituto speciale” perché la “scuola di tutti” e i servizi non garantiscono assistenza, non è una soluzione, ma un fallimento. E quell’“istituto speciale” non è buona prassi, ma l’emblema dell’esclusione. Difendere e declinare il principio dell’inclusione deve rimanere il nostro riferimento anche nelle piccole cose».