Già dalle prime dichiarazioni degli stessi proponenti della Legge sul “Dopo di Noi” [approvata nei giorni scorsi dalla Camera e passata ora all’esame del Senato, N.d.R.], era emerso che non si sarebbe trattato di un provvedimento in direzione dell’indipendenza e del diritto di scelta per le persone con disabilità, sul dove, come e con chi vivere, diritti che attengono a tutti, disabili e non disabili. Questa Legge si propone invece di assicurare un futuro a una platea stimata in circa 260.000 disabili che vivono in famiglia, nel momento in cui i loro familiari e congiunti non potranno più occuparsene o meglio, come dice la norma, se «non sono in grado di sostenere le responsabilità della loro assistenza». Ci chiediamo cosa si possa intendere quando si parla di persone disabili prive del sostegno familiare e come si configuri la responsabilità dei genitori di sostenere la loro assistenza.
Questo, dunque, dovrebbe avvenire cedendo le loro case e i loro patrimoni ad assicurazioni, fondazioni, banche, grazie all’utilizzo forzato del trust [istituto di origine anglosassone che consente di spossessarsi, con agevolazioni fiscali, di patrimoni propri, in funzione di un vantaggio o beneficio futuro, N.d.R.], ad uso praticamente esclusivo delle famiglie benestanti. Un tremendo “conflitto di interessi” tra le stesse famiglie, che evidentemente ignorano questo rischio destinato a trasformarsi in realtà quando non ci saranno più.
Intanto, in attesa di quell’immaginato roseo futuro, le famiglie e i loro congiunti – soprattutto la grande maggioranza di loro, che non dispone di beni appetibili al trust – non avranno alternative per alleviare il carico della schiavitù affettiva, restando comunque obbligati a dedicare la loro esistenza per assisterli, anziché prospettare una vita adulta o inclusiva per quei figli, figlie, sorelle, fratelli.
Ci chiediamo con quale certezza questo futuro potrà avverarsi, lasciando in toto la “gestione”, nella solita logica della presa in carico che trasforma la persona umana senziente in un “bene materiale” qualsiasi. Questa Legge non fa altro che stabilizzare l’istituzionalizzazione delle persone disabili, secondo una sempre più frequente “protezione privatistica” edulcorata e agevolata proprio in termini fiscali, con buona pace di quel che rimane di uno Stato Sociale e di quei diritti umani e soggettivi ormai dimenticati o venduti nel groviglio degli interessi clientelari.
Abbiamo sentito negli interventi finali sulla votazione alla Camera parlare dell’importanza di considerare le persone con disabilità «un patrimonio dell’Italia» e questa Legge ci conferma appunto il senso in cui ciò viene interpretato, ovvero una conferma ulteriore del fallimento del welfare inclusivo, nonché di quello del cambio di paradigma della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità. Ancor più ampie si delineano distanza e differenze con altri provvedimenti riguardanti l’assistenza.
Come già scritto in precedenza, ENIL Italia è assolutamente consapevole della grande necessità di dover finalmente affrontare questa problematica e dell’enorme urgenza di normare percorsi per sollevare le famiglie, ma questa Legge sul cosiddetto “Dopo di Noi” prospetta una sola direzione di vita per le persone con disabilità, che dovranno continuare a rimanere segregate in istituti, strutture e nelle loro “case”, gestite e amministrate da altri.
Questa Legge non può e non deve poggiare su riferimenti dell’articolo 19 [“Vita indipendente ed inclusione nella società”, N.d.R.] della Convenzione ONU, intenzionalmente citati come finto alibi, perché non genera né indipendenza né distacco dai genitori, quale naturale processo di vita delle persone con disabilità, e non contiene indirizzi concreti per una progressiva inclusione sociale, per il diritto a una vita adulta e per la chiusura delle istituzioni segreganti. Al contrario, utilizza ulteriori fondi pubblici per svendere i compiti istituzionali dello Stato, mantenendo e incrementando convenzioni e finanziamenti per trattenere le persone con disabilità confinate in case famiglia e istituti, continuare a costruirne altre e altri, trasformando anche le case di proprietà delle famiglie in residenze comuni. E non è proprio questo l’esatto opposto dei contenuti della Convenzione ONU ratificata dall’Italia con apposita Legge e di conseguenza un pericoloso arretramento dei diritti e libertà delle persone con disabilità di prendere ogni possibile decisione sulla propria vita, sempre più sottomesse e soffocate?
Ci chiediamo ora, sulla base delle dichiarazioni dei proponenti di questa Legge, che affermano non trattarsi di un provvedimento per la vita indipendente, quale destino immaginare per i restanti tre milioni e oltre di persone con disabilità gravi, che da anni la sognano, per raggiungere una reale inclusione, una normale vita dignitosa e libera in base alle proprie scelte e aspirazioni, pari eguaglianza, come tutte le altre persone e cittadini, anziché una vita da reclusi.
E perché così rapidamente il Governo trova 90 milioni di euro per questa Legge, mentre ne stanzia diciotto volte meno proprio per tutte le persone con disabilità gravi che aspirano a una vita indipendente tramite l’assistenza personale autogestita?