La mostra dal titolo Jusepe de Ribera e la pittura a Napoli, ospitata a Palazzo Madama di Torino, è stata prorogata sino al 21 febbraio e ci sarà quindi qualche giorno in più per lasciarsi trascinare dalla curiosità e scoprire questo artista singolare, conosciuto anche con l’appellativo di Spagnoletto, nato a Xàtiva, in Spagna nel 1591 e morto a Napoli 61 anni dopo.
Originale interprete delle suggestioni di Caravaggio, lo Spagnoletto è stato uno dei più grandi esponenti della pittura napoletana seicentesca. Nella città partenopea arrivò dopo un lungo tour, che comprendeva anche Milano e Roma, quel tanto che bastò per fargli assorbire lezioni importanti, come quelle di Guido Reni e dei Carracci. Qui però vorrei parlare di una sua opera molto particolare, che si trova al Museo del Louvre di Parigi, vale a dire Lo storpio (o Il piede storpio), un olio del 1642.
Apparentemente si tratta di un soggetto triste: un povero bambino deforme, mendicante, dal piede, appunto, storto e dagli arti affetti da qualche malattia. Ma in realtà Lo storpio racchiude un grande messaggio umano, positivo, di fiducia.
Intanto, si può notare come Ribera usi una prospettiva dal basso, che ingrandisce la figura e le restituisce dignità, senza campi lunghi che accentuino la deformità. Lo mette al pari di chi guarda, insomma: fa scattare una simpatia immediata con questo ragazzo. Che, nonostante la diversità fisica, sorride. Perché questo sorriso?
Jusepe de Ribera realizzò questo dipinto – forse commissionato da don Ramiro Felipe Núñez de Guzmán, viceré di Napoli – in un momento delicato della sua vita, quando veniva periodicamente assalito da temporanee paralisi agli arti, episodi che lo costringevano a lunghe fasi di inattività. Il pittore, dunque, sapeva bene quanto stava soffrendo quel ragazzo ed è per questo che gli dipinge un sorriso aperto e fiducioso, cuore di un messaggio più esteso: la fede, pare suggerirci, permette di superare le meschinità della vita e sovrasta persino la malattia.
Un messaggio cristiano, certo (sancito dalla massima scritta sul foglio in mano al giovane: «Dammi l’elemosina per amore di Dio»), ma che qui perde il suo carattere strettamente religioso e diventa una sorta di testamento spirituale dello Spagnoletto, artista che ha saputo ricavarsi una “pozza” di luce segreta anche nei secoli bui dell’Inquisizione. Che ha giocato con le ombre quando ha dipinto santi, martiri e aristocratici, ma che qui, con questo ragazzo, si è concesso una luminosità inconsueta, un sorriso che nulla ha di grottesco, ma che è pieno di grandezza. Una grandezza, a suo modo, che sa di santità laica.