Le quattro del mattino: il corpo è stanco, ma la mente no, e frulla impedendomi di dormire. Sorseggio camomilla, e grazie alle care e vecchie carta e penna, i rospi che ho nello stomaco iniziano ad uscire; o sarebbe meglio dire i pesi che ho nel cuore.
La tazza di camomilla è troppo colma, troppo calda, e come sempre accade in questi casi, il tremito costante delle mani malferme e deboli rischia di farla cadere, facendomi anche fare male, un dolore che comunque non supererà mai l’umiliazione di non essere capiti e anche ridicolizzati per questo.
Chi scrive ha una tetraparesi spastica da parto, che sebbene nel mio caso interessi principalmente gli arti inferiori, porta con sé anche debolezza degli arti superiori, scarsa manualità e soprattutto spasmi e sobbalzi involontari.
La tetraparesi spastica si manifesta in forme differenti per ogni soggetto, io mi reputo fortunata perché ho capacita cognitive integre, linguaggio fluente, ma purtroppo non cammino, cosa che invece la maggior parte degli spastici, seppur con difficoltà, fa.
Di noi si parla poco e male, perché noi, per la maggioranza, siamo il frutto di errori medici; su di noi non si investe perché non c’è cura possibile, e soprattutto non moriremo di spasticità.
Siamo simpatici, buffi con i nostri ridicoli spasmi inopportuni (cosa serve che sobbalzi al suono del clacson, dovresti saperlo che siamo in autostrada, no?), facciamo persino tenerezza quando d’estate, in compagnia, fingiamo un’emicrania improvvisa per non assistere ai fuochi d’artificio che sarebbero uno stillicidio di spasmi e sobbalzi, accompagnati da commentini e risatine divertite anche delle persone a noi più care.
«Che simpatica quella ragazza, sempre piena di autoironia, scherza su se stessa, ogni tanto ha strane reazioni e tic, ma sono passeggeri, non credo sia spastica come me»: lo disse una ragazzina con i sintomi più marcati dei miei.
Alla fine succede questo, che si è stanchi di essere oggetto di scherno, seppure bonario, di essere “quelli buffi”, che gli altri tollerano anche, ma non comprendono, e allora si inizia a rivedere ed evitare le situazioni in cui lo “spettro della spasticità” potrebbe uscire e smascherarti e metterti di nuovo alla berlina altrui.
Se sai che una tazza colma potrebbe farti tremare, non la prendi se nei paraggi non c’è un tavolino; se ci sono i fuochi d’artificio, non ci vai; se devi applicare l’eyeliner (trucco occhi), te lo fai applicare da terzi, per evitare una pietosa linea tremolante; se devi fare un giochino hot con il tuo lui, non userai le mani ecc. ecc.
A volte mi sento un po’ come una transessuale operata, che ora è donna a tutti gli effetti, ma non potrà mai scordare che c’è stato un tempo in cui non lo era: allo stesso modo io ho imparato a dominare e seppellire lo “spettro spastico”, il più possibile, ma basta una battuta, una risatina di scherno o un commento su quanto «gli spastici siano buffi e ripugnanti», per farmi ricordare che lo sono anch’io, in modo lieve, ma lo sono, che mi piaccia o no.
È anche interessante notare che in genere, per quanto riguarda i disabili, si abbia un timore reverenziale, una sorta di “rispetto funereo” per chi ha patologie gravi e degenerative. Mai, ad esempio, ci si sognerebbe di dire a chi usa il respiratore: «Ah, che buffa quella cosa che usi per respirare, ma sì, dai, a che vuoi che ti serva, non essere sciocca!». Oppure: «Non ti sembra il caso di usare un poggiatesta? È ridicola la testa che ciondola su e giù».
Lo stesso rispetto, invece, per gli spastici non c’è. Non esiste. Si è sempre visti come individui bizzarri, sgraziati e con reazioni fuori luogo in momenti inopportuni, anche dai disabili stessi, che certamente non conoscono la nostra patologia e quindi non si pongono nemmeno il problema di essere indelicati come un pachiderma nelle vetrerie di Murano.
Se si esige rispetto, bisogna darlo, diceva mio nonno, e il fatto che sobbalzando tra uno spasmo e l’altro non stiamo tirando le cuoia, non fa di noi dei freaks. O forse sì?