Sia dal punto di vista culturale che da quello politico, l’impostazione del Testo Unificato su disposizioni e interventi per la disabilità uditiva, attualmente in esame al Senato, appare inadeguata e distorcente, perché non solo pospone il diritto alla salute agli interventi di sostegno e di inclusione ai sordi, ma si limita a una generica e scontata promozione delle prestazioni sanitarie, che al contrario sono livelli essenziali assicurati o, meglio, diritti esigibili in tutto il servizio sanitario nazionale.
Infatti, il dispositivo unificato approntato dalla Commissione competente opera la scelta di disciplinare il tema della prevenzione all’articolo 3, senza per altro indicare gli strumenti organizzativi che sostanziano il diritto alla salute. Appare dunque opportuno ribadire la centralità di scelte di piano che sottolineino l’obbligatorietà della diagnosi precoce alla nascita in tutto il territorio nazionale, l’esigibilità di prestazioni e attività sanitarie e riabilitative delle abilità non ancora compromesse, come, ad esempio, la parola.
Si è dunque di fronte all’affermazione della presunta priorità dell’intervento riparatore a proiezione sociale (articolo 1), per una disabilità che in molti casi può essere evitata o ridimensionata con un’adeguata politica di prevenzione sanitaria.
In sostanza, non essendo stato organizzato un Centro Audiologico per ogni Regione italiana, si sta rinunciando a prevenire la disabilità uditiva, perché non si intende dedicare il necessario impegno alla diagnosi precoce e alle tempestive iniziative di abilitazione alla parola e all’educazione dei suoni, segni grafici e significati.
Da questo punto di vista è bene ribadire che la priorità dell’esigibilità territoriale di questi diritti primari è la via maestra per recuperare le condizioni e le opportunità utili ad acquisire livelli di normalità e quindi livelli superiori di autonomia.
Un atteggiamento lungimirante sulla qualità della vita, fondata prioritariamente sulla prevenzione delle disabilità uditive, presupporebbe invece la messa a disposizione di risorse e personale (abilitativo e sanitario), richiedendo investimenti e moduli organizzativi che in futuro si tradurrebbero sicuramente in cospicui risparmi e… tanta normalità.
Va quindi perseguito il diritto alla salute (sopratutto quella preventiva), non con un’ulteriore legge, ma con piani specifici nazionali e regionali, per approntare servizi, interventi e prestazioni che puntino a costruire la parola quale verso naturale degli uomini e delle donne. Qualsiasi altra scelta legislativa si configura come un intervento riparatorio molto dispendioso, notevolmente oneroso e favorisce non la libera scelta naturale, ma una scelta nei fatti necessitata.
L’insieme di queste opzioni necessitate si riassume nel riconoscimento della lingua italiana dei segni per cittadini con sordità, ma oltre allo status culturale di lingua difficilmente sostenibile, ciò risulta nei fatti il segno differenziante e discriminante (lo stigma sanzionatorio) fra cittadini dello stesso Stato nazionale.
Non si vuole qui negare l’utilità del linguaggio gestuale che consente la comunicazione, ma si vuole affermare che non si è in presenza di una lingua. Se così fosse, infatti, si dovrebbe per coerenza affermare che il Malossi (linguaggio tattile per sordociechi) dovrebbe essere la “lingua italiana del tatto!”.
Va per altro sottolineato che una lingua porta con sé una comunità e nel caso specifico si sta indirettamente riconoscendo l’esistenza della comunità dei sordi.
Riconoscere il linguaggio gestuale come lingua metterà in moto processi e comportamenti destinati ad aumentare la differenziazione e un maggior dispendio di risorse finanziarie non facilmente controllabili. Da questo punto di vista l’introduzione massiccia delle tecnologie assistive e adeguati moduli organizzativi consentono invece il perseguimento dell’inclusione – concetto ben diverso da quello di integrazione! – ma soprattutto eliminano lo status differenziante fra cittadini.
In conclusione, non crediamo che serva una legge sulla promozione dei diritti e sul riconoscimento della lingua italiana dei segni. Serve invece un piano nazionale, articolato regionalmente, che metta in essere strutture preventive e abilitative, nonché azioni e interventi che consentano processi virtuosi per l’inclusione, favorendo la normalità e la cittadinanza.
Inoltre, fondi mirati e specifici, da prevedere a livello governativo, dovrebbero garantire i diritti di inclusione attraverso un piano specifico a finalità sociale e promozionale per l’inclusione e l’autonomia personale.
Per queste ragioni e per affermare la lungimirante cultura delle Convenzioni Internazionali, riteniamo che:
– il diritto alla salute debba essere prioritario e assumere la connotazione della prevenzione;
– si debba rendere esigibile il diritto alla salute per le persone a rischio di disabilità uditiva in tutta l’Italia attraverso i servizi sanitari regionali;
– si debba superare ogni forma di riconoscimento di lingua alle diverse forme di comunicazione, perché differenzianti e stigmatizzanti;
– si debba introdurre in modo massiccio il ricorso alle tecnologie che agevolano e favoriscono la comunicazione e la pratica dei diritti, a partire dalla scuola, dal lavoro, dall’informazione e dalla libera espressione, quali strumenti per un ruolo sociale nella normalità della propria comunità;
– si predispongano piani specifici (e le relative risorse), per rendere veramente esigibili i diritti, temporalmente ordinati secondo le priorità indicate, affrontando pragmaticamente il complesso delle disabilità uditive.