«Oggi, 21 marzo, si celebra un evento che più di altri può offrire l’opportunità di uno spunto di riflessione: “Perché, ancora oggi, è necessario dedicare l’attenzione alla sensibilizzazione del benessere delle persone con trisomia del cromosoma 21 [altro modo in cui viene chiamata la sindrome di Down, N.d.R.]?”. Ci sarà un giorno in cui non sarà più necessario educare la società al rispetto di ogni essere umano, affinché nessuno venga privato della propria dignità?».
A chiederselo sono i rappresentanti di Special Olympics Italia, la componente nazionale del movimento internazionale dello sport praticato da persone con disabilità intellettiva, oggi, 21 marzo, che, come abbiamo ampiamente riferito in altra parte del giornale è la Giornata Mondiale sulla Sindrome di Down (World Down Syndrome Day).
«Avere la sindrome di Down – sottolineano da Special Olympics – non significa avere una malattia. Non rappresenta neanche una “prigione” dalla quale non è possibile uscire, ma più semplicemente il punto da cui partire per vivere appieno la propria vita, superando le difficoltà imposte, alla nascita, dalla condizione cromosomica. Sono la società e i processi di semplificazione, attraverso i quali le persone costruiscono il proprio bagaglio di conoscenze, a creare un universo chiuso che imprigiona sfumature e differenze, lasciando il posto a stereotipi e pregiudizi. Processi cognitivi che finiscono per configurare le persone con sindrome di Down in una certa categoria di individui. “Le persone con sindrome di Down sono tutti uguali?”, “cosa potrò mai condividere con una persona che ha un ritardo cognitivo?”. Se qualcuno ancora si pone questo genere di domande, vuol dire che una loro piena inclusione nella società non è ancora avvenuta. Ancor peggio quando il risultato è un atteggiamento pietistico o di totale indifferenza. La società, seppur lentamente, si evolve. Chiaramente in tanti sanno perfettamente che le persone con la sindrome di Down, seppur accomunate da simili tratti somatici, non sono tutte uguali, hanno il loro carattere, le proprie peculiarità, così come hanno molteplici capacità. Considerarle come qualsiasi altro essere umano significa dar loro modo di esprimere queste capacità, facendole sentire parte integrante della società e non di una categoria di individui».
Quale storia-simbolo per questo 21 marzo, Special Olympics ha scelto quella di Valentina, giovane atleta già distintasi in gare a livello nazionale, che si presenta così: «Sono Valentina, ho 12 anni, sono sorridente, la mamma dice un po’ troppo vivace e chiacchierona, ma piena d’interessi; faccio parte di un gruppo musicale, canto, suono la chitarra ed anche i bonghi. Organizziamo concerti, nei locali e nelle scuole, per far sapere che anche noi persone “speciali” sappiamo e possiamo fare tante cose. La mia più grande passione, da quando ero piccolina, però è lo sport».
Valentina, dunque, è una ragazza con la sindrome di Down che, come alcuni coetanei, ha già una vita piena di impegni, nonostante la sua giovane età. Lo sport le ha dato sicurezza, gratificazione e riconoscimenti, ma soprattutto ha aperto un nuovo capitolo della sua vita. L’attività sportiva ha fatto un po’ da apripista a tanti altri interessi che ha deciso, autonomamente, di portare avanti con curiosità e determinazione. Ha iniziato a fare sport a 5 anni, presso La Lepre e la Tartaruga, uno dei team Special Olympics di Roma, sperimentando prima il nuoto e poi la corsa. «Le recenti due medaglie conquistate a Bormio – sottolineano da Special Olympics -, con le racchette da neve, in occasione dei Giochi Nazionali Invernali Special Olympics, hanno significato davvero tanto per Valentina».
Come molti bimbi con la sindrome di Down, Valentina è nata con un problema al cuore e i suoi primi tre anni di vita sono stati molto duri. «La nostra storia – racconta la mamma – è molto lunga e complicata. Contestualmente alla nascita di Valentina, persi improvvisamente mio padre e a mia madre venne diagnosticata una grave malattia. Mi ritrovai sola con mia figlia ad affrontare mille difficoltà. Cercavo per lei la strada migliore ed essendo stata una sportiva, pensai che proprio lo sport, in associazione alle cure e alle terapie, potesse essere la strada giusta. Poco dopo l’intervento al cuore di Valentina, vennero a Roma alcuni amici di Brescia, anche loro con una figlia con sindrome di Down. Mi chiamarono dicendomi che Silvia avrebbe partecipato ai Giochi Nazionali Special Olympics che si svolgevano nella Capitale. Rimasi affascinata dal clima che si respirava, sognai di poter vivere con mia figlia quelle emozioni e di offrirle l’opportunità di condurre una vita normale».
«Ricordo ancora – prosegue – l’emozione della sua prima gara di nuoto, così come quella di atletica. Era come lasciarsi dietro le spalle tutta quella solitudine che aveva caratterizzato i primi anni di vita. Valentina è sempre stata una bambina socievole e fortemente volitiva, ma troppo protagonista; non accettava le sconfitte, lo sport l’ha aiutata tanto in questo, le ha permesso di capire che non è solo competizione, ma anche gruppo, sostegno e condivisione. Di medaglie, nel corso del tempo, ne sono arrivate tante; di bronzo d’argento e anche d’oro, ma al di là del suo valore, vederla sul podio mi ha fatto capire che ce l’avevamo fatta; non eravamo più sole».
La madre di Valentina si sofferma poi sull’importanza di Special Olympics: «Questo movimento – dice – ci ha aiutato tanto. Mi ero chiusa in un mondo che credevo di poter comprendere e gestire da sola. Nel condividere invece il tempo con altri genitori, fratelli, sorelle, amici, ho conosciuto tante storie che mi hanno aperta al mondo. Ognuno di noi ha le proprie capacità, così come l’opportunità di migliorarsi attraverso l’attività e l’impegno. Ci credo fermamente, e per questo, dopo diverse esperienze ho deciso di impegnarmi nel coinvolgere altre mamme che fino a quel momento vedevano lo sport come un traguardo impossibile per i propri figli. Ancora ricordo con emozione, due anni fa circa, la figlia di un’amica, con tratti autistici e grave ritardo cognitivo, correre in pista e arrivare seconda al traguardo. Vidi la mamma piangere per la prima volta e mi disse: “Hai ragione, si può ed è bellissimo”».
«Valentina – conclude la madre – ha iniziato grazie a Silvia che nell’estate dello scorso anno ha partecipato ai Giochi Mondiali Estivi di Los Angeles; oggi anche lei spera di poter avere in futuro un’opportunità del genere e di rappresentare l’Italia a un Europeo o a un Mondiale. Ho imparato a non dare limiti ai sogni e le auguro quindi, in futuro, di prepararsi la valigia, dove dentro non ci saranno solo vestiti. ma anche autonomia e voglia di non mollare mai, mettendosi sempre in gioco senza aver paura di sentirsi giudicati». (S.B.)
Per ulteriori informazioni e approfondimenti: redazione@specialolympics.it.
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