Commentare è uno degli sport più diffusi al mondo. È gratuito – querele e reazioni violente dei destinatari del commento a parte – e l’alibi del “così fan tutti” aiuta ad alimentare la prassi. Sui mezzi d’informazione – finché esistono, per ora esistono – è più impegnativo, ma dacché il mondo è pieno di opinionisti, non c’è motivo di trattenersi.
Ora, gli avvenimenti in proposito di mancate gite di persone con disabilità, adesso d’attualità, richiedono un commento da parte di chi, come me, osserva da vicino il “sistema disabilità”. Un commento in più ad aggiungersi alla litania degli altri che in queste settimane non hanno saputo trattenersi dall’esprimere le loro sentenze non nuocerà gravemente alla salute del Lettore. Spero non mi quereli nessuno. Né mi arrivi un ceffone.
Come mia cifra espressiva, parto dal rammentare i punti di partenza, innanzitutto a Livorno, una decina di giorni fa: un bambino con autismo arriva in classe e non trova nessuno, i compagni sono andati in gita senza avergli detto nulla. L’accaduto ha un seguito intricato, ma intanto sa di pessimo scherzone. Ci vedo Fantozzi che arriva in ufficio e non trova Filini e gioiosa brigata che sono andati in gita a Fregene senza di lui, “merdaccia” indegna della loro autocelebrata compagnia.
Altra storia a Legnano, alcuni giorni addietro: la scolaresca prepara la partenza per una gita d’istruzione – ai miei tempi si chiamavano così, mantenendone una parvenza, oggi non so – a Mauthausen, campo di concentramento in Austria – e facciano in fretta ad andarci prima di trovare il filo spinato alla frontiera – e nessuno dei compagni tredicenni di una ragazzina con autismo vuole dormire con lei. Gita annullata. Anzi, contrordine. Interviene il preside, il ministero, il Padreterno. No, lui no, ma pare stia prendendo in considerazione di mandar giù San Michele Arcangelo!
Naturalmente prima di commentare minuziosamente queste storie, bisognerebbe entrare nei dettagli e prima di tutto considerare che questi non sono gli unici episodi di discriminazione, o presunta tale, della nostra scuola e, inoltre, che questi non sono la norma. Esistono decine di classi che vanno in gita – d’istruzione? – con persone con disabilità. Io, più di vent’anni, fa andavo con la mia classe a vedere le fabbriche, gli inceneritori dell’AMSA [Azienda Milanese Servizi Ambientali, N.d.R.], accompagnato da mia madre, da una classe accogliente e dalla mia disabilità severa. Facevamo squadra, tutti insieme. E quando all’inceneritore trovavi l’ascensore troppo piccolo – evidentemente non ero abbastanza “biodegradabile” da venire portato su con i nastri trasportatori dell’umido – tornavo indietro.
Allora, che cosa ho da dire sugli episodi summenzionati? Che si sono fatte molte chiacchiere, dimostrando che ci sono ancora tanti fatti da operare.
Sinceramente mi interessa poco come i genitori dei ragazzini che non avrebbero voluto dormire con la compagna di classe autistica, vedano, non senza ammissibili regioni, i timori dei figli a dormire con qualcuno che può avere comportamenti imprevedibili nella “logica della normalità”.
Non trovo significativo neppure addentrarmi nella questione “gita-non gita”. Si va o non si va e arrivano gli Ispettori del Ministero. Bene, giusto verificare le circostanze. Accertare le responsabilità. Ma io ritengo che ci si debba intendere sulla portata della responsabilità stessa.
Che abbiano sbagliato i ragazzi, gli insegnanti o i genitori, siamo di fronte a un segnale forte. Questi avvenimenti, pur nella loro eccezionalità, dimostrano infatti che la nostra società non è ancora completamente accogliente. Viviamo ancora un difetto di concezione del senso della collettività. Se siamo tutti persone partecipi di un processo che ci rende un corpo sociale, non possiamo permetterci che qualcuno resti fuori.
Che ci siano svarioni di questo tipo prova che esiste un’inadeguatezza sociale strisciante al di qua del Brennero – al di là dipende dall’entità del filo spinato. Guardando con gli occhi della Storia, quella che lascia traccia di noi nel tempo, non importa principalmente di chi sia la responsabilità precisa di avvenimenti così, poiché questa ricade su tutti. Cioè su una società incompleta dove esiste un vulnus, una ferita, più che un vuoto, nel principio di umanità. Quello che dovrebbe contraddistinguerci.
Tali episodi è tempo che non accadano più.