Leggo notizie che mi atterriscono: cosa c’è di più bello di una gita a primavera con la scuola? Già, ma se si decide – giustamente – di rinviare la gita in quanto uno dei ragazzi, con disabilità, rischia di restare da solo, non è una bella cosa. Anzi, una gran bella sconfitta per tutti, o quasi. E non è l’unico caso recente. Due sono le mie riflessioni, basate su altrettanti “concetti-chiave”.
Innanzitutto informazione. Banale, vero? Eppure sapere aiuta molto. Provino tutti a dare un’occhiata a un vademecum sull’autismo recentemente elaborato: un vero e proprio glossario per tutti, anche per gli addetti ai lavori, che spiega con parole semplici cosa comporti una disabilità, non solo per chi la vive, ma anche, e forse soprattutto, per chi è intorno.
L’altro concetto è semplicità. Certo, mi rendo conto, da disabile over 40, che oggi abbiamo strumenti e potenzialità inimmaginabili fino a pochi anni fa. Quando ero piccolo io, poi, i miei genitori si resero conto che non sentivo solo dopo molto tempo. Oggi questo non accade, non può accadere: esistono diagnosi precoci, terapie differenziate, sostegno di ogni tipo, eppure… Eppure manca qualcosa di importante: la semplicità. Ora provo a spiegarla.
Nelle gite non ho mai avuto problemi di questo genere. Diciamo che i miei amici non facevano i salti di gioia per stare in camera con uno con cui sarebbe stato complicato parlare. Per tale ragione, riuscivano a convincere i professori che assegnarci una camera da quattro persone sarebbe stata la cosa migliore per me, che non sarei “stato solo”, e per loro, che potevano parlare con qualcuno. Di notte, poi, mi sparivano sempre merendine o succhi di frutta, che loro trafugavano dalla mia valigia, perché tanto non li avrei mai sentiti.
Ma io, grazie a loro, le gite le ho fatte. Non sono mai stato solo; anche se mi facevano qualche scherzo, ero uno di loro. E grazie a loro, mi divertivo come tutti. E nessuno sapeva cosa fosse la parola “inclusione”. Dopo oltre trent’anni, sono ancora miei amici. Non ho altro da aggiungere.