Verranno festeggiati venerdì 27 maggio a Perugia (Sala Congressi del Centro Mater Gratie, ore 17.30) i cinquant’anni della Comunità di Capodarco, nata appunto nell’ormai lontano 1966, a Capodarco di Fermo, nelle Marche, per opera di don Franco Monterubbianesi, insieme a un piccolo gruppo di tredici persone con disabilità, come spieghiamo ampiamente all’interno del rapido cenno storico in calce.
Per l’occasione, prima di un momento di festa, verrà anche presentato il libro L’intelligenza dell’anima. Emozioni in gioco nella Comunità di Capodarco, volume realizzato dalle persone con disabilità accolte presso la Comunità di Capodarco di Perugia.
Insieme al già citato don Franco Monterubbianesi, interverranno all’evento Catiuscia Marini, presidente della Regione Umbria, Andrea Romizi, sindaco di Perugia e don Vinicio Albanesi, presidente della Comunità di Capodarco. (S.G.)
Per ulteriori informazioni e approfondimenti: capodarco_perugia@libero.it.
Capodarco compie mezzo secolo!
Era il Natale del 1966, quando un piccolo gruppo di tredici persone con disabilità e un giovane prete, don Franco Monterubbianesi, decisero di iniziare l’avventura di una vita in comune in una vecchia villa abbandonata a Capodarco di Fermo, nelle Marche. Ben presto molti altri giovani volontari e altri giovani con disabilità si unirono a loro, scegliendo di vivere in comunità.
Dai tredici membri iniziali agli oltre cento del 1970, in pochi anni ancora Capodarco assunse via via una dimensione nazionale, con la nascita delle Comunità di Sestu (Cagliari), Fabriano (Ancona), Gubbio (Perugia), Udine, Lamezia Terme (Catanzaro) e Roma, fino a tutte le altre oggi presenti, tra cui quella di Perugia, dove il 27 maggio verranno festeggiati i cinquant’anni.
Attualmente la Comunità è presente in svariate città e regioni d’Italia e ne fanno parte centinaia di persone tra comunitari, giovani impegnati nel servizio civile, operatori sociali e volontari.
Dagli Anni Novanta, inoltre, tale realtà si è allargata al di fuori dei confini nazionali, dando vita alla CICa (Comunità Internazionale di Capodarco), organizzazione non governativa di solidarietà, che si propone di dare risposte ai problemi dei poveri e degli emarginati di tutti i continenti, con un’attenzione prevalente rivolta alle persone con disabilità.
La consapevolezza che l’integrazione passa per un mutamento di mentalità ha portato la Comunità, nel corso degli anni, ad ampliare i propri orizzonti culturali e politici. Ne sono un esempio i convegni annuali organizzati nella sede nazionale di Capodarco di Fermo, la presenza in coordinamenti nazionali come il CNCA (Coordinamento Nazionale delle Comunità di Accoglienza) o il CESC (Coordinamento Enti Servizio Civile) e in Federazioni come la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e l’attivazione di un ufficio nazionale che svolge funzioni di coordinamento e raccordo tra le diverse Comunità sparse sul territorio e di rappresentanza esterna con le Istituzioni.
Oggi, dunque, la Comunità di Capodarco è un’associazione senza fini di lucro formata da varie Comunità locali, dotate di propri organi direttivi, e da una Comunità generale avente sede a Capodarco di Fermo.
La Comunità Nazionale è presieduta dal 1994 da don Vinicio Albanesi, a capo di un Consiglio composto dai Presidenti delle Comunità locali, alle quali si aggiunge la citata CICa, che ha invece la propria sede operativa presso la Comunità Capodarco di Roma.
«Alla base del progetto della Comunità di Capodarco – si legge nel sito della stessa – c’è un processo di liberazione individuale e collettivo di coloro che non sono tutelati. La Comunità sceglie di stare dalla parte di chi non ha diritti e agisce perché i non tutelati e i non garantiti si formino una coscienza dei loro diritti e doveri per diventare i soggetti della propria liberazione e riscatto. Questo processo si basa su alcuni princìpi di fondo: il rifiuto dell’atteggiamento pietistico nei confronti di chi è in difficoltà e il superamento di ogni assistenzialismo; lo stile della condivisione, del coinvolgimento profondo con la storia dell’altro, del pagare di persona; la territorialità dell’intervento, per evitare di chiudersi nella propria struttura ed aprirsi alle realtà circostanti; la quotidianità come spazio in cui tutti hanno la possibilità di crescere e di emanciparsi attraverso il lavoro, momenti di vita comune, attività di servizio sociali».