La sordità viene spesso definita come una “disabilità fantasma”, perché c’è, ma non si vede. O meglio, viene erroneamente associata al mutismo, nell’ennesimo tentativo di arrogarsi la presunzione di conoscere il mondo della disabilità. Niente di più sbagliato, quando invece bisognerebbe soltanto ascoltare, per provare a comprendere maggiormente. Ascoltare anche, paradossalmente, chi ha una disabilità uditiva, perché, forse, il vero sordo è colui che generalizza e minimizza.
Gloria Zullo è una venticinquenne siciliana affetta da ipoacusia bilaterale dall’età di tre anni, che qui descrive con forte rabbia l’annoso problema dell’ignoranza della gente con cui è costretta a fare i conti quotidianamente. Dopo avere elaborato queste sue riflessioni, ha detto: «Ho provato a lasciarmi andare attraverso la scrittura, per la prima volta. Se avete voglia di leggere, vi do un consiglio, leggete in silenzio, senza alcun rumore di sottofondo». (Silvia Lisena)
«Ma tu sei sorda?». «SÌ». «Se mi hai risposto, non puoi esserlo». Quando mi trovo coinvolta in un dialogo come questo, pensando alle risposte che mi vengono date, mi viene sempre voglia di tirare una scarpa in pieno viso al mio interlocutore. Questa è la mia tentazione nell’ascoltare quelle parole. Poi, però, mi pongo delle domande provo provato a darmi infinite risposte.
Mi chiedo come mi vedono gli altri, cosa pensano e provo a interpretare lo stupore delle persone buone quando dico che sono sorda.
Io, negli anni, ho imparato a chiamare la mia disabilità il “fantasma”. Sì, perché c’è ma non si vede. I miei capelli lunghi, spesso sulle spalle, nascondono tutto. E quelle poche volte che li lego, raramente qualcuno si accorge che porto le protesi acustiche. Eppure ci sono, hanno il guscio blu come il colore che ho sempre amato fin da bambina. Per tanti anni, mi sono nascosta dietro i miei capelli, fingendo che tutto andasse bene. Finché mi sono accorta che stavo vivendo solo a metà. E ho deciso di reagire, di prendere in mano la mia vita e far sì che fosse degna di essere vissuta. Ho iniziato a dire quando non sentivo, quando dovevano parlare più forte, quando dovevano parlare lentamente; sono uscita dal mio silenzio interiore. Quel silenzio che prima era solo mio e poi ho deciso di gridare al mondo.
Tutti si stupiscono quando faccio vedere le mie protesi, compagne di vita, perché l’unica sordità che conoscono è quella affiancata al sordomutismo. Quindi, per la gente, se sei sorda non dovresti saper parlare bene né sentire quello che ti dicono.
Quando mi sento dire così, vorrei gridare che, in realtà, dietro ci sono anni di sofferenze, di sforzi, di giornate intere passate davanti allo specchio, cercando di posizionare la lingua nel verso giusto attraverso un cucchiaino che spesso mi faceva salire la nausea, giornate intere a guardare davanti allo specchio il movimento della mia bocca per vedere se era corretto, a fare gli esercizi che la logopedista mi assegnava. Passavo giornate davanti allo specchio, e non per vanità, ma per cercare di essere quella che sono. Guardare ogni giorno il mio riflesso mi ha messo di fronte al “fantasma”. Non si vedeva, ma, attraverso la mia bocca, il mio linguaggio, sapevo che c’era. Ho imparato ad ascoltare il suono della mia voce, il suono dei piccoli oggetti, i rumori che prima sentivo solo piano.
Ci sono tanti tipi di sordità e questo, ogni tanto, vorrei spiegarlo alla gente, ci sono sordità gravi, meno gravi e lievi. Ci sono difficoltà che possono essere superate, se hai la fortuna di incontrare un bravo protesista e il sostegno della famiglia. Tutto è possibile, se lo vogliamo davvero. Nella vita con disabilità e nella vita senza disabilità.
Da quando sono uscita “allo scoperto”, provo a sconfiggere l’ignoranza. A parlare, a far capire alla gente la diversità di ognuno di noi, senza classificare la disabilità. La disabilità non è classificabile, la disabilità è Abilità. L’ignoranza che vedo è qualcosa che riuscirà sempre a farmi male, non riesco a farla rimbalzare.
Ho sempre visto la mia sordità come un “nemico”, un nemico da annientare, da vincere a qualunque costo. Mi sono ostinata ad essere quella che non sono, fino ad accettare il fatto che non avrei mai potuto sconfiggere il nemico, ma avrei potuto amarlo, scoprirlo, farne un punto di forza.
Dal nemico è nata un’amicizia, un’amica che mi ascolta e mi dice quando devo fermarmi e non esagerare. Se la sordità è diventata un’amica, l’ignoranza è diventata il mio più grande nemico. Un nemico che non riesco ad accettare, che provo a sconfiggere ogni giorno con scarsi risultati.
L’ignoranza ti offenderà sempre, anche involontariamente, sta a noi cercare di superarla. Chi ignora ciò che non conosce è bravo ad offenderti, solo una parola può essere fatale. Le etichette, spesso date alla disabilità, fanno si che la gente si allontani senza sapere, senza conoscere, affidandosi alle voci di “popolo”.
Ora, sono consapevole che l’ignoranza è la vera disabilità.
*Il presente testo è già apparso nel blog Ali di Porpora con il titolo “Combattere l’ignoranza” ed è stato successivamente riproposto dal Gruppo Donne UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), introdotto da Silvia Lisena, con il titolo “Diversa ed invisibile”. Lo riproponiamo a nostra volta, per gentile concessione, con lievi adattamenti al contesto.