Le Giornate Nazionali su vari temi ormai si accavallano e aumentano ogni anno, ma sono comunque l’occasione per fare il punto e guardare al tratto di strada percorso.
Quella del 9 ottobre scorso, com’è noto, ha riguardato le persone con la sindrome di Down e già dal titolo si è potuta intravedere l’evoluzione di un aspetto non secondario della questione, la terminologia. Non si è utilizzata infatti – come invece quasi sempre accade – l’espressione “affette” dalla sindrome di Down, poiché va ricordato sempre che non si tratta di una malattia, ma di una condizione (ricordo le compagne di classe di mia figlia che mi chiedevano: «Ma Giulia quando guarisce?»…).
Sempre una battaglia sulla terminologia ha portato all’arretramento dell’uso di un termine come “mongoloide”, anche grazie ai tanti che protestano ogni volta che viene utilizzato. Ora, infatti, quella parola viene pronunciata con molta cautela, tranne in qualche “programma di nicchia per VIP”, come Grande Fratello, dove sembra che ancora si utilizzi (almeno così ho letto)… Rimane poi, come insulto, anche nell’uso di alcuni ragazzi, ma mi sembra in via residuale…
Sicuramente un bel po’ di strada la si è fatta nel settore della pratica sportiva e gli exploit della bravissima Nicole Orlando hanno mostrato che certi limiti possono essere superati; tuttavia, non va dimenticato che la stessa sindrome contempla al suo interno situazioni, capacità e possibilità molto differenti tra una persona e l’altra.
Come anche è da sottolineare il fatto che siano stati pubblicati in quest’ultimo periodo diversi libri scritti da familiari di persone con sindrome di Down (tra gli altri Mio fratello rincorre i dinosauri di Giacomo Mazzariol, Ti seguirò fuori dall’acqua di Dario Fani, Lo zaino di Emma di Martina Fuga); qui è in corso una trasformazione: i familiari, da “jellati” quali erano considerati e forse si consideravano, stanno diventando sempre più consapevoli di vivere un’esperienza, sospesa tra problemi e meraviglie, che merita di essere raccontata.
A mio parere, però, uno dei punti più critici resta quello dell’inserimento scolastico, che sconta specie all’inizio dell’anno la confusione che regna nelle scuole. I docenti di sostegno, un aiuto valido per tutta la classe, arrivano con settimane di ritardo e in alcuni casi i dirigenti scolastici chiedono ai genitori di tenere a casa i figli con disabilità, in attesa appunto del sostegno.
Forse basterebbe utilizzare il mese di luglio per definire piante organiche e trasferimenti, senza aspettare settembre, per migliorare molto la situazione.
In conclusione mi sembra di poter dire che siamo in mezzo a un cammino nel quale il domani comincia ad essere un po’ meno fosco; nel futuro dei nostri figli intravediamo la possibilità – più concreta di ieri – di un’occupazione lavorativa e forse anche qualche incognita in meno, grazie all’approvazione della cosiddetta Legge sul “Dopo di Noi” [Legge 112/16, N.d.R.]. È chiaro, però, che tutto lo sforzo di noi familiari, degli operatori, della scuola sarà molto meno efficace, se non cambierà anche lo sguardo di tutte le altre persone sui nostri ragazzi, che dovrà diventare sempre più uno sguardo di simpatia e di consapevolezza della ricchezza (per tutti) di questa presenza nella nostra società.