Leggo un articolo pubblicato il 10 ottobre scorso dall’Agenzia «Redattore Sociale» (Disabilità intellettiva, con l’inclusione si aprono le porte dell’università) e a parte le questioni strettamente legali, relative ai ricorsi ai TAR (Tribunali Amministrativi Regionali), con conseguente attribuzione formale di un diploma, necessario ad essere ammesso agli studi universitari, mi chiedo e chiedo alle Associazioni Nazionali di persone con disabilità: è utile per i nostri ragazzi con disabilità intellettiva la frequenza dell’Università per una loro crescita umana, intellettuale e sociale?
Penso ad esempio al fatto che normalmente anche alunni senza disabilità trovano le nostre università orientate su studi molto astratti e quindi intellettivamente difficili.
Nell’articolo citato, poi, si legge che anziché mandare i nostri ragazzi ai Centri Diurni o tenerli a casa, è meglio mandarli all’Università. Ma il ruolo dell’Università, come istituzione di alta cultura, è quello di “parcheggiare” studenti con disabilità intellettiva, che possono non sapere né leggere né scrivere? Sarebbe logico mandare una persona sorda a frequentare un corso di alta cultura coreutica e musicale? Sarebbe logico mandare una persona cieca a specializzarsi in un corso di tiro al piattello?
So bene che con queste domande solleverò – provocatoriamente – una sorta di vespaio, ma è la notizia letta in quell’articolo che mi ha stimolato tali quesiti e che giro all’opinione pubblica, perché si possa aprire un dibattito serio, pacato, documentato e soprattutto finalizzato al vero interesse di crescita dei nostri ragazzi con disabilità intellettiva.