«L’ipovisione è un fenomeno dinamico che sfugge alle definizioni rigide, che si manifesta con forme e modalità diverse, che non si lascia studiare con sistematicità, che influisce inevitabilmente su aspetti psicologici, comportamentali, relazionali, educativi, ed esistenziali della persona. È quindi fondamentale investire sulla prevenzione e sulla riabilitazione, perché le risorse impiegate per la prevenzione e le cure precoci non sono risorse sprecate anzi, valgono doppio, permettendo alle persone di vivere meglio».
Lo ha dichiarato Mario Barbuto, presidente nazionale dell’UICI (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti), aprendo La parola gli ipovedenti, quarto seminario nazionale dedicato appunto alle persone ipovedenti, oltre un milione solo in Italia (246 milioni nel mondo, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità), numero in crescita anche a causa dell’invecchiamento demografico.
L’incontro si è svolto nei giorni scorsi a Roma (se ne legga anche la nostra presentazione) ed è stato organizzato dalla Commissione Nazionale Ipovedenti della stessa UICI e da IAPB Italia, Sezione Italiana dell’Agenzia Internazionale per la Prevenzione della Cecità, in stretta collaborazione con il Dipartimento Organi di Senso, Sezione Oftalmologia dell’Università La Sapienza di Roma.
«Ipovedente – ha spiegato Adoriano Corradetti, coordinatore della Commissione Ipovisione dell’UICI – è colui il quale vede in maniera sufficiente per non dovere organizzare la propria vita come quella di un cieco, ma allo stesso tempo vede troppo poco per svolgere la sua vita come chi vede normalmente. Oggi, come ieri, stabilire con certezza cosa sia l’ipovisione e chi siano gli ipovedenti, è un compito arduo, sia perché esistono diversi tipi d’insufficienza visiva, sia perché possono essere vari i parametri cui fare riferimento, sia perché la società moderna, aperta, civile, globalizzata non ha ancora acquisito la cultura stessa dell’ipovisione. Il primo vero e grande problema quindi, è di natura sociale-culturale: l’ipovisione è poco conosciuta, infatti solo una percentuale irrisoria di persone conosce il termine che invece spesso viene utilizzato come sinonimo di non vedente».
«Questo appuntamento – ha sottolineato dal canto suo Michele Corcio, vicepresidente di IAPB Italia – fornisce un’importante occasione per focalizzare i problemi delle persone ipovedenti e soprattutto per fare passi in avanti sulle strategie da attivare per raggiungere un’autonomia personale del paziente ipovedente, di per sé fortemente compromessa».
«Come UICI – ha ricordato ancora Corradetti – stiamo lavorando per il diritto ai decisimisti a ricevere un’indennità economica. L’ipovisione preclude tante cose nella vita delle persone che ne sono colpite, ed è assurdo che non ci sia nessun supporto da parte dello Stato per chi subisce condizionamenti così forti».
«Nemmeno gli addetti ai lavori – ha affermato poi Filippo Cruciani dell’Università La Sapienza di Roma, componente della Commissione Ipovedenti dell’UICI e della Direzione di IAPB Italia – riescono a rendersi conto delle difficoltà che si vivono quotidianamente come ipovedente, anzi, possono anche metterle in dubbio. Persino l’Organizzazione Mondiale della Sanità ci dice che ci sono priorità assolute che i servizi oculistici devono perseguire, e tra queste ci sono i servizi di riabilitazione degli ipovedenti».
Durante l’incontro, spazio particolare, parlando di bambini ipovedenti, è stato dato all’importanza del supporto che possono garantire la famiglia e la scuola. «Gli insegnanti che si confrontano con un bambino ipovedente – ha dichiarato in tal senso Giancarlo Abba, già direttore scientifico dell’Istituto dei Ciechi di Milano – spesso si trovano davanti a comportamenti che denotano frustrazione, dipendenza e insicurezza, isolamento, negativo concetto di sé e anche iperattività come strategia di evitamento. Devono quindi combattere spesso con un’attenzione labile, e attivare forme di coinvolgimento consono a far sì che lo studente possa raggiungere un’educazione adeguata, riconoscendo al bambino la difficoltà dell’apprendimento».
«Occuparsi della famiglia – ha affermato quindi Stefania Fortini, psicologa e psicoterapeuta del Polo Nazionale per la Riabilitazione Visiva di IAPB Italia – costituisce la migliore possibilità di assistere il bambino. Spesso, infatti, è il disagio psicologico degli ipovedenti e delle loro famiglie la condizione più onerosa. Riuscire a garantire un supporto psicologico adeguato al “sistema famiglia” può rappresentare l’elemento chiave che consente all’individuo di accettarsi, avendo superato il proprio limite. E accompagnare la persona ipovedente verso l’accettazione significa metterla in condizione di giocare nella vita ad armi pari con chi non vive una disabilità, permettendole di raggiungere la massima realizzazione possibile come essere umano».
A scuotere la sala del seminario, è arrivato infine l’appello della madre di una ragazza ipovedente, che ha chiesto di aprire le porte della riabilitazione visiva quanto prima anche ai bambini e agli adolescenti: «Ci sono delle finestre di apprendimento – ha detto – che devono essere aperte nei primi anni di vita, e questo è fondamentale, per garantire ai nostri ragazzi un corretto approccio alla formazione e alla vita da ipovedente, ciò che troppo spesso non avviene a causa delle gravi carenze del sistema sanitario italiano».
Da ricordare in conclusione che durante l’incontro sono stati affrontati anche gli aspetti normativi legati all’ipovisione e le dinamiche familiari, passando per i vissuti delle persone con disabilità visiva in àmbito scolastico e lavorativo, ed è stato esposto il Progetto Eye Fitness, un servizio di riabilitazione visiva a domicilio. (S.B.)
Per ulteriori informazioni e approfondimenti: Chiara Giorgi (chiagiorgi@gmail.com).