«I nuovi LEA deludono sia i diritti umani che la scientificità», avevano dichiarato nell’estate scorsa dalla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), a proposito dello schema di Decreto contenente i nuovi Livelli Essenziali di Assistenza Sanitari – i LEA appunto – posto all’esame della Conferenza delle Regioni, da parte del Ministero della Salute.
Non meno duro è oggi il giudizio della Federazione, il cui presidente Vincenzo Falabella si è espresso così all’uscita dall’audizione in Commissione Affari Sociali della Camera dove il Decreto è all’esame. «Non potevamo aspettarci nulla di diverso – ha dichiarato infatti Falabella -: quando un testo di questa portata viene redatto ignorando la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, l’esito non può che essere quello che abbiamo sotto gli occhi! Un testo obsoleto, inadeguato, ampiamente irricevibile».
Le critiche espresse dalla FISH – che ha depositato in tal senso una Memoria agli Atti della Camera, riguardano l’intero impianto del Decreto elaborato dal Ministero, sia per quanto concerne le modalità di elaborazione che il merito delle disposizioni.
«Il Ministero della Salute – si legge in una nota diffusa dalla Federazione – ha di fatto rifiutato uno strutturato confronto con le Associazioni delle persone con disabilità e di molte altre organizzazioni dell’impegno civile, di operatori e tecnici, perdendo un’occasione straordinaria di costruire una norma davvero efficace, moderna, condivisa. Ha invece concentrato l’attenzione sul mantenimento di linguaggi e modelli vetusti e obsoleti, e sul contenimento dei costi in un’ottica meramente di cassa».
Una nota dolente viene poi riservata anche al mancato confronto con l’Osservatorio Nazionale sulla Disabilità, che opera all’interno del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e che in tema di LEA aveva prodotto proprie osservazioni, totalmente ignorate.
«Le stesse apparenti novità del Decreto – proseguono dalla FISH – rimangono incardinate in logiche che hanno già dimostrato il loro fallimento. Poco conta l’apprezzabile intento di ampliare l’elenco, ad esempio, delle Malattie Rare, quando le modalità di modificazione di quell’elenco rimangono le stesse. Poco conta prevedere ausili nuovi o tecnologicamente avanzati, se poi i percorsi di erogazione mantengono criteri amministrativi e sanitarizzanti, che producono più costi che risparmi e che limitano fortemente la libertà di scelta delle persone, relegando l’abilitazione e la riabilitazione lontane dal ruolo che dovrebbero avere. In pratica i nuovi LEA perpetuano il concetto di “compensazione della menomazione” nell’erogazione degli ausili e delle protesi, al contrario di quanto prevede la Convenzione ONU in termini di diritto alla salute, alla mobilità, alla comunicazione. Siamo pertanto lontanissimi dai principi di inclusione previsti dalla Convenzione ONU e dalle stesse prescrizioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e l’adozione di un linguaggio obsoleto, inadeguato e incongruente ne rappresentano l’evidenza».
«Ma non è tutto – viene ancora sottolineato dalla Federazione -, il regime sociosanitario, così come inteso nel testo proposto, esclude il progetto individuale ed esperienze rispettose dei diritti umani, riproponendo lo schema che produce segregazione, in palese violazione persino della recente norma sul “Dopo di Noi” (Legge 112/16). Il sociosanitario, infatti, si presenta ancora una volta come una congerie di servizi per nulla raccordati e con l’individuazione di rispettive categorie di beneficiari del tutto indecifrabili e sovrapponibili (si parla ora di “disabilità complessa”, ora di “invalidità civile”, ora ancora di “non autosufficienza”), in cui la stessa persona potrebbe rientrare, con l’inevitabile esito di non promuovere il benessere della persona, ma di renderla meramente destinataria di assistenza frammentata e inefficace».
E ancora, «appare desolante l’assenza di attenzione alle menomazioni di natura sensoriale e alle esigenze delle persone con disabilità intellettiva e/o relazionale, relativamente all’informazione, alla comunicazione, all’accessibilità alle campagne di prevenzione, alle relazioni con gli operatori sanitari e sociosanitari».
La parte finale dell’analisi della FISH è dedicata a un aspetto sul quale finora è sostanzialmente prevalso il silenzio, ovvero la reale concretezza dei nuovi LEA: «Quando verranno applicati?», chiedono e si chiedono dalla Federazione. «E garantiranno realmente una parità di trattamento in tutto il Paese?». «In realtà – è presto data la risposta – la concreta applicazione dei LEA, e quindi la concreta ricaduta sui Cittadini, è rinviata sine die, in particolare per le prestazioni più innovative e l’assistenza protesica. Ciò traspare dall’Intesa Stato-Regioni del 9 settembre scorso, ove si prevede una generica graduale applicazione nel tempo. È per altro giustificata l’ipotesi che tale dilazione non sia connessa a motivi organizzativi, ma ad una non adeguata copertura finanziaria. Inoltre, il testo proposto lascia margini decisionali eccessivi su aspetti anche delicati, delegando alle Regioni la disciplina successiva su àmbiti tutt’altro che organizzativi, ciò che rischia di riproporre le profonde disparità territoriali che ben conosciamo».
Da ultimo, ma non ultimo, secondo la FISH «“il re è nudo”: infatti, prima ancora che i nuovi LEA vengano approvati, è stata predisposta dalla citata Intesa Stato-Regioni del 9 settembre scorso una Commissione per l’aggiornamento degli stessi LEA che dovrebbe entrare immediatamente in funzione. Un implicito riconoscimento, questo, dell’inadeguatezza dello strumento regolamentare non ancora adottato. E da questa Commissione sono esclusi i Cittadini, gli operatori e i loro rappresentanti».
«Oltre al tempo – conclude Falabella, riprendendo il medesimo concetto espresso in Commissione Affari Sociali della Camera – si è persa un’occasione per ripensare le politiche, i sistemi, i servizi in modo più civile, efficace, moderno e rispettoso dei diritti umani. Non possiamo che prenderne ancora una volta recisamente le distanze». (S.B.)
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