Qualche settimana fa, la casa editrice Gattomerlino ha presentato il libro Leggere la disabilità, scritto da una giovane donna tetraplegica di Arezzo, Martina Naccarato, in occasione della sua tesi di laurea.
In qualità di consigliera dell’ADV (Associazione Disabili Visivi), invitata a partecipare alla presentazione con una mia recensione e testimonianza, ho raccontato brevemente di me: donna cieca, non congenita, ovvero nata vedente e divenuta ipovedente prima e cieca assoluta poi, tra i 22 e i 29 anni, a causa di una retinite pigmentosa, una patologia retinica degenerativa.
Parlare di disabilità non è cosa facile, è un tema vasto e il rischio di banalizzazione è forte; mi sono complimentata con la scrittrice per il coraggio di aver messo nero su bianco riflessioni, concetti e pensieri non solo suoi, ma anche raccolti da scritti di letterati e poeti, lasciandoli a nostra disposizione, sia per apprezzarli, sia eventualmente per criticarli, in modo particolare da parte di chi vive la disabilità sulla propria pelle.
Ed è proprio a queste persone che Martina ha fatto delle interessanti interviste, che a mio parere costituiscono il “pezzo forte” della sua tesi di laurea, divenuta oggi un libro, inaspettatamente per lei, come lei stessa afferma nella sua breve introduzione.
In questo libro si utilizza più di una volta la definizione “diversamente abili”, che una letterata citata nel volume, Anna Baglione, reputa che nasconda dell’ipocrisia. Forse solo per un certo aspetto tale terminologia ha un senso, almeno per affermare che esistono delle diverse abilità, o meglio delle abilità esercitate in diverso modo. Le persone cieche, ad esempio, non leggono con gli occhi, ma con altri sensi come l’udito, ascoltando la voce degli screen reader sui dispositivi elettronici, o come il tatto, toccando i caratteri braille sulla carta stampata o sui display tattilobraille. Ma, lasciatemelo dire, a me la definizione “diversamente abile” non piace, e la eviterei volentieri, sostituendola con “persone con disabilità”, come, tra l’altro definite nella Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ratificata dall’Italia nel 2009 [Legge 18/09, N.d.R.].
Come noto, in essa sono contenuti cinquanta articoli che sanciscono i diritti fondamentali delle persone con disabilità, analogamente agli altri esseri umani; tanto per fare qualche esempio, il diritto alla cultura, al lavoro, all’accesso a internet, alla fruizione dei contenuti dei media, degli audiovisivi ecc. Le persone con disabilità, quindi, in primis sono appunto “persone”, tutte distinte le une dalle altre, e anche le mie stesse affermazioni non vanno generalizzate, in quanto mie e non necessariamente condivisibili da tutte le altre persone con disabilità, che hanno ognuna una propria testa e un proprio modo di pensare, essendo diverse, o meglio, differenti, tra loro.
Qualcosa accomuna tutte le persone disabili, l’handicap, ovvero l’aspetto negativo della disabilità, se le condizioni al contorno non sono favorevoli al superamento del problema; ciò che varia da persona a persona, invece, è la capacità e il coraggio di affrontare le problematiche con serenità, dignità e spesso facendone un punto di forza!
In altre parole, ognuno segue un percorso personale di vita, cercando la propria autonomia e il modo di affrontare e superare l’handicap, vivendo la propria disabilità in maniera serena e dignitosa e cercando di affermarsi in àmbito sociale, familiare, e lavorativo.
Non illudiamoci che sia facile affrontare questo percorso; spesso il trauma è troppo grande, in particolare per chi non sia nato con una disabilità, ma questa sia poi subentrata da grande. Non è detto che tutti accettino il “problema”, lo affrontino e lo superino. Fondamentale è avere la fortuna di incontrare persone che siano in grado di dare il giusto suggerimento al momento giusto, in modo da stimolare la ricerca degli strumenti, per affrontare con forza e determinazione l’handicap che si è presentato.
Farcela, per altro, non significa guarire fisicamente: la disabilità naturalmente resta, ma significa trovare dei modi e dei trucchetti per vivere meglio il quotidiano, utilizzando i propri punti di forza e gli altri sensi funzionanti.
Ciò è possibile, ma ricordiamo che il livello di autonomia è personale, è un percorso graduale, una posizione più mentale che fisica: a mio parere è la capacità e la libertà di fare le proprie scelte, anche quando la disabilità sia cognitiva, ma, come anche il presidente della Repubblica Mattarella ha affermato qualche mese fa, dev’essere concesso a tutti di poter scegliere e decidere, seppure con diverse modalità.
La libertà passa attraverso il coinvolgimento personale e non è possibile forzare chi non voglia essere aiutato ad uscire da un problema. Le Associazioni questo lo sanno bene. Se si va in TV o davanti a un microfono, vuol dire che si ha un approccio positivo, non necessariamente “eroico”, con la disabilità. Fondamentale è il sostegno della famiglia, nella vita del bambino o del ragazzo disabile, ma anche da adulto qualora l’handicap arrivi nel tempo.
Martina Naccarato è stata sostenuta dalla famiglia, come testimonia la numerosa presenza dei familiari alla presentazione del suo libro; io stessa sono stata fortunata nell’essere appoggiata e sostenuta nelle mie scelte dalla mia famiglia, e non ostacolata con la scusa dell’amore e della cautela, che spesso creano più danno che effettiva protezione. Si può rovinare una persona con disabilità, se non le si concede la possibilità di provarci, e spesso le occasioni concrete di affermarsi nella vita e nel lavoro si trovano fuori dal paese in cui si è nati e cresciuti. Ma per uscirne c’è bisogno di coraggio, forza e appoggio della famiglia.
Le testimonianze del libro di Martina descrivono tutte persone diverse e con diverse disabilità e abilità, alcune anche con pluriminorazioni. Persone che ce l’hanno fatta, con dignità, decoro serenità e autonomia (altrimenti probabilmente non si sarebbero lasciate intervistare!) e questo, ripeto, purtroppo non è la regola.
L’esempio di Antony Andaloro, ragazzo cieco siciliano, primo blind chef (“chef cieco”) italiano, ha tutta la mia ammirazione, non amando io particolarmente cucinare, ma amando molto mangiare! Antony ha fatto di un hobby il suo mestiere e oggi gestisce un famoso ristorante in Sicilia, in provincia di Catania. Propone anche cene in penombra, a lume di candela, bendando i commensali e consentendo loro di toccare i cibi prima di goderne tramite gusto e olfatto.
Concludo con una citazione che riassume molto bene ciò che penso e che sto cercando di esprimere in questa occasione; è di un grande scrittore, il teologo e filosofo Vito Mancuso, citato da Martina nel suo libro: «La disabilità e l’handicap sono un male oggettivo, ma la persona con disabilità è un bene altrettanto oggettivo».