«Le tue prime parole, un po’ in ritardo. Anche i primi passi tardi… io so perché ti comportavi così, so perché lasciavi che il tuo corpo si muovesse all’impazzata: erano quelle vocine che avevi in testa, erano loro a comandarti, ammonendoti di non star fermo un attimo».
Muni Sigona, nel suo libro Calle Calle… Biografia di un Sogno (Carthago, 2016), racconta la sua esperienza di madre di un ragazzo autistico che oggi ha 18 anni. Un’esperienza che ha sentito il bisogno di condividere con gli altri e in modo particolare con le famiglie che vivono la stessa realtà.
È una donna minuta ma molto determinata: «l’aiu a fari» (“lo devo fare”, in dialetto siciliano) e l’ha fatto. Ha organizzato il convegno Oltre l’autismo che si è tenuto il 2 aprile, Giornata Mondiale per la Consapevolezza dell’Autismo, a Catania, incontro durante il quale ha riunito attorno a un tavolo professori universitari, neuropsichiatri, presidenti di associazioni, genitori, fratelli e sorelle dei ragazzi con disabilità intellettivo-relazionali, fundraiser. L’obiettivo? Fare sistema, fare conoscere le iniziative del territorio, i centri dove trovare un supporto, i servizi a disposizione, fare il punto sulla ricerca.
Chi scrive ha avuto l’onore di partecipare a questo evento in qualità di moderatore e ora, carico di emozioni, ripenso alle cinque ore in cui qualcuno ha cominciato a riflettere sulla problematica, più volte denunciata dai genitori, della presa in carico dei ragazzi con autismo dopo il compimento della maggiore età.
Già si considera l’autismo una patologia dell’infanzia, e quindi di competenza dello psichiatra e del neuropsichiatra infantile, e poi ci si dimentica che i ragazzi crescono e diventano adulti… orfani di quel medico che con pazienza certosina aveva trovato il “cocktail di farmaci” per ridurre al minimo le crisi.
E così il professor Antonio Persico, responsabile dell’Unità Operativa di Neuropsichiatria Infantile presso il Policlinico di Messina, ha presentato il suo Progetto 0-90, che divide le età della patologia in sei macrofasce di età (anche i farmaci molecolari allo studio saranno somministrati in base agli anni), che finalmente costituiscono un percorso di cura per tutta la vita, senza cesura al compimento del diciottesimo anno di età, ma con un passaggio tra medici competenti, graduale e coordinato.
Renato Scifo, invece, responsabile della Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza dell’Ospedale di Acireale (Catania), ha raccontato dei processi lenti e ancora troppo macchinosi per aprire in Sicilia strutture residenziali per persone con disagio psichico.
Si è parlato quindi di scuola con Enrico Orsolini, presidente dell’Associazione Autismo Oltre (Catania), di integrazione e inserimento lavorativo con Vera Caltabiano presidente dell’Associazione Un Futuro per l’Autismo (Catania) e ancora della Rassegna CinemAutismo, fatta di corto e lungometraggi dedicati al tema.
Tutti i dibattiti, però, sono cessati e la sala del convegno si è fatta improvvisamente silenziosa quando è salita sul palco Alfina, questo il suo nome, una ragazza dell’Associazione Culturale etnea Nèon, che non camminando è stata portata in braccio da quella che penso fosse la madre. Si è messa a cantare un’aria lirica, con voce tonante, profonda di incredibile purezza. Nessuno è stato capace di rimanere seduto, erano tutti in piedi ammirati a rendere omaggio a questa Artista, sì proprio con la A maiuscola.
In sala erano presenti molti bambini e adolescenti con autismo che, incapaci di stare fermi, gironzolavano per la stanza. Apparentemente distratti, ma profondamente attenti, come possono essere sorprendentemente i ragazzi con questa patologia.
Ma forse il vero spettacolo – quello che apre il cuore, e fa riflettere sulle piccolezze che ci turbano inutilmente – era lontano dal palco. Erano quelle madri e quei padri seduti nelle file. Uomini e donne come Muni e Michele, mamma e papà di Salvatore, per tutti Toti, che stanno raccogliendo i fondi per creare La Casa di Toti, un albergo etico a Modica (Ragusa), un luogo sereno e gioioso per il loro figlio con autismo (e non solo per lui: la casa alloggio, infatti, darà ospitalità ad altri ragazzi con disagio psichico).
E poi Simonetta, che si illumina quando parla di Giacomo, il suo dolcissimo figlio di 20 anni, che otto anni fa ha deciso di smettere di pronunciare quelle poche e a volte sconnesse frasi che scandivano la sua giornata e non di proferire più parola. E tutti gli altri genitori di cui non conosco il nome. Incredibile guardarli negli occhi che bruciano di speranza. Occhi stanchi, certo, ma mai rassegnati. Eroici combattenti di una battaglia soverchiante, stremati e sfiniti dalla fatica e dalla difficoltà di interfacciarsi con una patologia di cui si conosce ancora troppo poco, ma nonostante tutto indefessi “cacciatori di sogni”, per cui vale la pena lottare, per regalare un futuro ai propri figli.