«Il superticket sanitario rappresenta un ostacolo all’accesso alle cure dei cittadini: è iniquo e per molti una ragione per rinunciare alle cure. E anche sul suo reale supporto economico al Servizio Sanitario Nazionale ci sono dubbi: sulla carta, infatti, porta 834 milioni euro all’anno, ma da alcuni approfondimenti il reale gettito si aggirerebbe intorno ai 500 milioni di euro. E su questo chiediamo una verifica puntuale e un’operazione di trasparenza sul reale gettito»: è quanto si legge in una nota diffusa dal Tribunale per i Diritti del Malato di Cittadinazattiva, centrata appunto sul cosiddetto “superticket sanitario” che, lo ricordiamo, è stato definito sei anni fa dalla Legge 111/11, con l’introduzione di 10 euro di ticket su ogni ricetta per prestazioni di diagnostica e specialistica. Su di esso, per altro, alcune Regioni hanno opposto forti resistenze, applicandolo in modo diverso, tramite altre forme di compartecipazione, purché concordate con il Governo, come stabilito dalla norma.
«Per garantire la fattibilità dell’abolizione del superticket – dichiara Tonino Aceti, coordinatore nazionale del Tribunale per i Diritti del Malato – sarebbe opportuno utilizzare le entrate che derivano dallo svolgimento dell’intramoenia*. Inoltre, un’ulteriore fonte è rappresentata dal maggior gettito che deriverà in termini di ticket dal passaggio di tutta una serie di prestazioni dal regime ospedaliero a quello ambulatoriale, come previsto nei nuovi LEA Sanitari (Livelli Essenziali di Assistenza). Così come potremmo contare su tutte le maggiori entrate derivanti proprio dall’effetto positivo della stessa eliminazione del superticket, perché renderebbe più conveniente l’accesso a prestazioni che sono oggi invece più concorrenziali nel privato, come ad esempio quelle della laboratoristica. Va infine sottolineato come i laboratori pubblici di analisi avrebbero oggi la capacità di rispondere a una maggiore domanda e senza problemi di lista di attesa».
«Da parte nostra – prosegue Aceti – siamo disponibili a ragionare sull’introduzione di una progressività nella compartecipazione in base al reddito, vale a dire che chi ha maggiore disponibilità economica potrebbe contribuire pagando una quota superiore rispetto a chi questa possibilità non ha. Ovviamente sino a un livello di ticket che comunque garantisca la concorrenzialità del Servizio Sanitario Nazionale rispetto a quanto offerto dal privato. Facendo salve le esenzioni totali per disoccupazione, cronicità e patologie rare. Per garantire che però a pagare non siano sempre i “soliti noti”, questa operazione non può prescindere da una parallela e efficace attività di contrasto all’evasione fiscale».
«Vogliamo essere coinvolti nel processo di revisione della normativa – conclude il coordinatore del Tribunale per i Diritti del Malato – mettendo a disposizione le nostre evidenze ed esperienza, e per evitare distorsioni su un tema che affronta il sacrosanto principio dell’equità e dell’universalità del Servizio Sanitario Nazionale. Su questo ci aspettiamo quindi un segnale concreto da parte del Ministero della Salute e delle Regioni». (S.B.)
*La libera professione intramuraria, chiamata appunto intramoenia, si riferisce alle prestazioni erogate al di fuori del normale orario di lavoro dai medici di un ospedale, i quali utilizzano le strutture ambulatoriali e diagnostiche dell’ospedale stesso, a fronte del pagamento da parte del paziente di una tariffa.
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