Riparte la propaganda “pro assistenza sessuale” dopo diversi mesi di disinvestimento dai canali mediatici e di ristagno dei due Disegni di Legge presentati rispettivamente alla Camera e al Senato. Ritrova un rinnovato slancio nei suoi “cavalli di battaglia”, un po’ triti, direi: «La sessualità per i disabili è negata!», «L’unica soluzione è l’assistenza sessuale», «Solo le love giver possono far avere un’esperienza sessuale ai disabili».
Nelle ultime interviste pubblicate dal «Fatto Quotidiano» e dal «Messaggero», se ne aggiunge uno che sembra essere stato riesumato dall’epoca in cui i disabili erano una “vergogna” e tenuti nel segreto della vita familiare, ovvero «Le madri aiutano i figli disabili a masturbarsi». Ora, per quel che vale, in 42 anni di esperienza a livello personale e in più di 10 anni a livello professionale nel mondo della disabilità, nessuna madre o padre mi ha mai confidato, neanche nel segreto dei colloqui di psicoterapia, di aver dovuto provvedere a masturbare il figlio o la figlia.
Per carità, la mia esperienza è assolutamente parziale, rispetto al variegato e complesso panorama della disabilità, ma il punto è che la notizia di questo fenomeno si è diffusa negli anni come una sorta di “leggenda metropolitana”, cioè senza che siano stati mai svolti studi per valutarne la portata e le circostanze. Al contrario – ad esempio – una meta-analisi degli studi accademici nella letteratura internazionale evidenzia casi di abuso sulle persone con disabilità intellettiva, particolarmente ragazze abusate dai padri. Nessuna evidenza scientifica, invece, emerge in relazione al bisogno da parte di uomini con disabilità intellettiva di essere masturbati dalle madri.
Certo, non è possibile escludere in assoluto che vi siano casi di questo genere, ma non se ne può fare un uso strumentale, per affermare che ci siano un numero indefinito di uomini con disabilità intellettiva che sarebbero incapaci di contenere la propria libido, fino al punto da costringere la madre a doverli masturbare per tenerli buoni.
È necessario entrare nel merito della questione, stimare il numero di casi, studiare i singoli casi, per valutare se la persona fosse davvero impossibilitata a provvedere autonomamente o se al contrario, con un’adeguata educazione sessuale, avrebbe potuto farlo. E ancora, se l’istinto sessuale fosse effettivamente primario o una forma di compensazione di stati d’ansia e di vuoto affettivo-relazionale e così via.
È grave, a parer mio, utilizzare queste affermazioni, generalizzandole a tutta la categoria, per corroborare l’approvazione di provvedimenti che, stando all’attuale stesura dei citati Disegni di Legge, riguarderebbe tutti indiscriminatamente. Si dà in pasto all’opinione pubblica una visione delle persone con disabilità e della loro sessualità perversa, sofferente, invischiata in dinamiche relazionali sempre ripiegate sul nucleo familiare: unico orizzonte e speranza di accettazione.
Soprattutto, la realtà è molto diversa! Non è assolutamente vero che la sessualità sia negata per le persone con disabilità. Esistono sì molte problematiche, molte delle quali assolutamente risolvibili, tuttavia, decisamente, non è né impossibile né negata.
Ci sono tantissime persone con le forme più varie e complesse di disabilità fisica, sensoriale o intellettiva che hanno storie d’amore, di letto, relazioni, flirt, si sposano, fanno figli, litigano, si smazzano e si scazzano come tutte le normalissime coppie. Nella mia vita ne ho conosciute tante, altre si sono rese pubbliche, andando a mettere in evidenza solo la punta di un iceberg di realtà che per pudore e riservatezza hanno evitato di parlare della loro esperienza, che tuttavia esistono e testimoniano che non è assolutamente vero che per le persone con disabilità la vita sessuale di coppia sia negata o impossibile.
Sono persone che hanno realizzato la loro dimensione sessuale e la loro vita di coppia innanzitutto riuscendo a conquistarsi un buon livello di inclusione sociale e socializzazione. È ovvio che questa sia una condizione imprescindibile: già è difficile trovare l’anima gemella per chiunque, molto più difficile per le persone con disabilità, ergo, se vuoi avere storie, devi conoscere tante e tante persone potenzialmente aperte ed interessate a conoscerti anche dal punto di vista sessuale, erotico e sentimentale.
Oltre a questo, è necessario che ci sia apertura e rispetto da parte delle famiglie di origine o, altrimenti, una marcata assertività che consenta alla persona con disabilità di emanciparsi e autodeterminarsi. A volte, purtroppo, l’istinto di protezione dei genitori (ma anche dei siblings, i fratelli o le sorelle di persone con disabilità), porta ad entrare nelle relazioni dei propri familiari con disabilità, con un portato di diffidenza e scetticismo. Ciò ne complica inevitabilmente lo sviluppo, perché le storie, siano esse d’amore o di letto, hanno bisogno di leggerezza, spontaneità, fiducia e intimità.
Purtroppo il pregiudizio è duro a morire anche di fronte all’evidenza, come a suo tempo ci ricordava su queste pagine Franco Bomprezzi, raccontando come una cassiera avesse dato per scontato che la signora che lo accompagnava fosse la badante anziché la compagna.
Infine, ci vuole una buona dose di capacità di problem solving*, soprattutto quando entrambe le persone hanno una disabilità. I problemi tecnico-logistici sia fuori che dentro la camera da letto sono molteplici… Tuttavia si può fare.
Non voglio assolutamente negare che la maggioranza delle persone con disabilità non riescano a vivere la dimensione sessuale in maniera soddisfacente, ma se si parte dalla realtà, piuttosto che dal pregiudizio, si può riuscire a capire come poter sviluppare le possibilità che ancora non si sono concretizzate.
Ognuno di noi – prima di riuscire a realizzare i propri progetti di autonomia e vita relazionale – credeva fosse impossibile e ha trovato la speranza nei traguardi raggiunti da persone che prima di loro hanno superato problematiche analoghe.
Per tutti questi motivi trovo estremamente deleterio che i dibattiti relativi alla sessualità e alle relazioni intime si siano appiattiti sull’assistenza sessuale e che i Disegni di Legge si siano occupati solo di normare quest’ultima. Una Legge che si proponga di agevolare la realizzazione della soddisfazione sessuale in persone con disabilità dovrebbe infatti prevedere tanti tipi di intervento (culturale, educativo, psicologico e infrastrutturale), al fine di creare condizioni favorevoli in tal senso. Solo in ultima analisi si può ragionare sulla realizzabilità e utilità dell’assistenza sessuale per i casi in cui, anche in condizioni ottimali, la persona è effettivamente impossibilitata.
*Con la locuzione inglese problem solving (letteralmente “risoluzione di un problema”) si fa sostanzialmente riferimento a un’attività utile a raggiungere una condizione desiderata a partire da una condizione data.