La mia storia è comune a quella dei genitori di una quarantina di bambini che condividono la mia stessa esperienza. C’era una volta il Servizio di Tutela della Salute Mentale e Riabilitazione in Età Evolutiva (TSMREE) dell’(ex) ASL Roma C (attuale Roma 2), con un ruolo importante nell’individuazione precoce, nel trattamento, e nella prevenzione di disturbi concernenti tutte le aree implicate nello sviluppo di un bambino/adolescente: motoria, cognitiva, psicoaffettiva e relazionale.
Ne ho usufruito a mani basse da quando mio figlio aveva poco meno di un mese e con me tanti, tantissimi genitori del già Municipio XII. Ne ero entusiasta. Perfino la segreteria funzionava. Ti rispondevano sempre e avevano comunque una risposta. Se poi ad alcuni non potevano fornire dei servizi direttamente (si sa, i fondi nella Sanità sono sempre di meno…), si preoccupavano di indirizzarti, di sostenerti nella scelta, di coordinare (attraverso il neuropsichiatra di riferimento lì in ambulatorio) anche gli interventi dei terapisti privati, in modo che si muovesse tutto verso un unico obiettivo: lo sviluppo delle autonomie possibili, nell’ottica della migliore integrazione possibile, prima nella famiglia, poi nella scuola e quindi nella società e nella vita.
Ero soddisfatta del servizio anche quando i tempi di attesa hanno cominciato ad allungarsi a causa della burocraticamente necessaria presa in carico di tutti i bambini che prima erano in carico ai centri accreditati.
Ora tutto questo non c’è più. Nel giro di un paio d’anni alcuni pensionamenti, qualche poco auspicabile problema grave di salute e da ultimo l’istituzione della nuova ASL Roma 2, con la contemporanea soppressione delle ASL Roma B e Roma C hanno cambiato tutto.
Con l’ultima gestione – terminata solo nel mese di febbraio scorso – la segreteria, che è la prima interfaccia con l’utenza, ha cominciato a funzionare sempre meno. Il telefono ha squillato sempre più a vuoto. Le richieste di prima visita hanno cominciato ad avere tempi di attesa inaccettabili (almeno nove/dodici mesi prima di avere un appuntamento. E questi tempi, senza nessun intervento, su un bambino fragile sono davvero difficili da recuperare…).
Insomma, lo hanno trasformato in un ufficio della Sanità che non funziona. La marcia in più che ho sempre riconosciuto a questo servizio – e in undici anni di vita di mio figlio realtà ne ho conosciute diverse – è che fosse davvero una risorsa preziosa ai fini dell’integrazione sociosanitaria, perché si tratta di un servizio che per sua natura (e direi anche per vocazione) è capace di interagire con i servizi dedicati alla Tutela della Salute Mentale in Età Adulta, all’assistenza domiciliare, con i pediatri di libera scelta, con i Servizi Sociali, con le scuole.
Erano presenti sempre (fino a due anni scolastici fa) in tutte le riunioni dei Gruppi di Lavoro Handicap d’Istituto, conoscevano tutti i bambini e tutte le realtà d’intervento. Si sono presi cura di noi insegnandoci davvero tanto. E se ora riesco a “godere” dei traguardi di mio figlio, molto lo devo a questo servizio.
Che rischia però di diventare una bella favola, che potranno raccontare solo alcuni, sempre di meno. Perché a partire dal 1° gennaio scorso la consapevole inerzia decisionale di chi, pur essendo a conoscenza da alcuni mesi della gravità della situazione (e mi riferisco alla segnalazione già inviata diversi mesi fa dalla Consulta per i Diritti delle Persone con Disabilità del Municipio IX al direttore generale Flori Degrassi, regolarmente protocollata e di cui può trovarsi traccia in un articolo apparso su queste stesse pagine di «Superando.it» dal titolo E poi si parla di interventi precoci…) ha fatto sì che oltre duecento pazienti in età evolutiva siano rimasti improvvisamente senza assistenza, aspettando per mesi, in alcuni casi anche un paio d’anni, di essere riassegnati ad un neuropsichiatra, nonostante ne avessero fatto prontamente richiesta.
È vero che proprio in questi giorni, a seguito dei numerosi reclami* inviati nel febbraio scorso, qualcosa si è mosso e nella seconda metà di marzo è stata nominata una nuova neuropsichiatra infantile, ma solo per 36 ore settimanali, delle quali solo 16 dedicate alla clinica, il resto alle attività di gestione del Servizio. Ed è vero anche che per il momento tutti i pazienti che erano senza riassegnazione fanno capo a lei, ma per le sole certificazioni, mentre ancora non sono state riorganizzate le visite.
A parole si è ventilata la nomina di almeno un altro neuropsichiatra, dato il bacino d’utenza del servizio cui fanno capo attualmente circa 2.000 pazienti in età evolutiva, di cui ben 580 nel corso del 2016 assegnati esclusivamente a psicologi, causa carenza di neuropsichiatri infantili, ma ancora oggi la presa in carico come la conoscevamo noi, con le visite e il coordinamento di tutti i progetti da parte del neuropsichiatra di riferimento, non c’è. E questo, pur riconoscendo che qualche piccolo passo avanti in quest’ultimo mese è stato fatto, rimane comunque un problema per tutti questi pazienti.
Si parla di pazienti che si sono rivolti al Servizio Sanitario Nazionale essenzialmente per disturbi dello sviluppo neuropsicologico (difficoltà o ritardi nel linguaggio, di apprendimento, dello sviluppo cognitivo ecc.), neurologico e neuromotorio (ritardo psicomotorio, cerebropatie, malattie muscolari, genetiche ecc.), che necessitano di interventi previsti dalla Legge Quadro sulla disabilità 104/92 (integrazione scolastica, riabilitazione, inserimenti socio-sanitari, certificazioni), che con l’attuale situazione, di fatto, non vengono assicurati a pieno.
Senza considerare tutti coloro che tecnicamente ancora non sono pazienti dell’ambulatorio, perché ancora, pur avendo richiesto la prestazione, non hanno potuto avere l’appuntamento per la prima visita per carenza di neuropsichiatri infantili.
E dunque, a tutti i bambini cui non si è in grado di fornire un appuntamento per la prima visita, o le successive e necessarie visite di controllo, e con un costo sociale altissimo, anche se al momento non facilmente quantificabile, la consapevole inerzia del potere decisionale a risolvere la questione dell’individuazione di medici specialisti sostituti dei tre neuropsichiatri fino a poco fa in servizio al TSMREE sta tuttora continuando a negare, comunque, l’esercizio di diritti fondamentali. E ciò nonostante qualcosa sia stato fatto, come detto, ma poco rispetto a quel che faceva intendere Massimo Cozza [direttore del Dipartimento di Salute Mentale dell’ASL Roma 2, N.d.R.] qualche mese fa sul giornale «Avvenire», dove dichiarava che «entro qualche settimana si prenderà una strada che permetterà di dare risposte a queste famiglie».
Invece una risposta non ci è stata ancora data, né la “strada” per la stessa sembra essere stata intrapresa. E quindi la domanda che mi pongo è la seguente: «L’inerzia direttivo/gestionale di chi deve nominare i neuropsichiatri sostitutivi dei tre che hanno lasciato il servizio, può “uccidere”?». Credo di sì. Credo che l’ipotesi non sia così teorica, anche se a qualcuno potrebbe sembrare solo provocatoria. Può infatti “uccidere” il presente e anche il futuro di mio figlio e di tutti questi bambini. Può “uccidere”, calpestandoli senza neanche guardarli, i loro diritti a una diagnosi precoce; alla redazione di una diagnosi funzionale da cui sola si potrà partire per il recupero, sia in àmbito sanitario che sociale e scolastico; a una corretta integrazione sociale, che per tutti, ma soprattutto per un bambino con disabilità, passa attraverso l’integrazione scolastica, che, a livello individuale, ha il suo primo motore nel Gruppo di Lavoro Handicap Operativo, in cui la figura più rappresentativa e imprescindibile è il neuropsichiatra infantile del Servizio Sanitario Nazionale; al riconoscimento o al rinnovo del riconoscimento della condizione di handicap (ai sensi dell’articolo 3 della Legge 104/92), al fine di accedere alle prestazioni sanitarie e socio-assistenziali (comprese le provvidenze economiche) previste dalla Legge stessa.
La malasanità è anche questo. Fa meno rumore di una morte sotto i ferri. Ma “uccide” lo stesso.
*I reclami sono stati inviati all’Ufficio Relazioni Pubbliche della ASL e a quello della Regione; all’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, per denunciare la violazione – grave – perpetrata con consapevole comportamento omissivo di doveri d’ufficio da parte di soggetti istituzionali della ASL Roma 2, dei diritti di oltre duecento bambini che si trovano nella medesima situazione; al Presidente della Repubblica; al Presidente della Regione Lazio. Al reclamo inviato al Capo dello Stato, il Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica ha fornito risposta, informando di rimettere lo scritto alla Direzione Generale Salute e Politiche Sociali della Regione Lazio per valutazioni ed eventuali iniziative di competenza. Il Presidente del Lazio, invece, non ha ritenuto, fino ad ora, di dover fornire alcuna risposta, mentre l’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza si è impegnata il 3 aprile con una delegazione di genitori a richiedere una verifica alla Commissione Politiche Sociali e Salute del Consiglio Regionale del Lazio, ciò di cui, però, al momento non si è avuto riscontro. Insieme ad altri genitori abbiamo tentato di contattare telefonicamente il Garante, ma senza alcun risultato.