Parcheggiare negli stalli predisposti per le persone con disabilità, utilizzare i bagni a loro riservati, servirsi del tagliando azzurro per transitare nelle corsie preferenziali o accedere alle Zone a Traffico Limitato anche quando la persona con disabilità non è presente nel veicolo: tutte le volte che qualcuno o qualcuna usa in modo improprio accorgimenti, servizi, luoghi o agevolazioni pensati per colmare lo svantaggio dato dalla presenza della disabilità, chi ha compreso il senso di questo tipo di interventi prova un moto di indignazione, una sensazione di fastidio, qualche volta persino rabbia.
È pertanto comprensibile l’accorato richiamo lanciato il 5 giugno scorso da Alberto Vincenzoni sulla testata «Livorno Press», intitolato provocatoriamente “Spingi babbo spingi, alla faccia dei divieti”. Giochi inclusivi e uso improprio, il gioco tra menefreghismo e sicurezza.
In esso l’autore mette in luce come nel Parco del Parterre di Livorno sia diventato una consuetudine l’uso scorretto e pericoloso dell’altalena riservata ai bambini con disabilità da parte di bambini non disabili, con la compiacenza dei genitori.
Osserva Vincenzoni che la struttura studiata per poter contenere al proprio interno una sedia a rotelle e fermarla in sicurezza, non è dotata di alcun dispositivo che ne consenta l’uso sicuro da parte dei «bimbi normali». A ciò si aggiunga «che il parco ha moltissime altalene e giochi per tutti i bambini normodotati, dai castelli alle altalene, alle barche dei pirati e così via. Il parco si è dotato, tra i primi in Italia, di giochi inclusivi per bambini diversamente abili, e spesso l’uso scorretto dell’altalena per bambini in carrozzina ha fatto sì che si rompesse».
Sino a qui le riflessioni sono largamente condivisibili, se ci disponiamo a sorvolare sull’uso di espressioni come «bimbi normali» e «bambini diversamente abili», pur sapendo che la comunità delle persone con disabilità non le gradirebbe.
Nella sostanza, ciò che viene evidenziato è un abuso ai danni dei bambini con disabilità, e anche se la forma andrebbe migliorata, ciò che conta è lo spirito dell’intervento: le attrezzature riservate alle persone con disabilità non vanno utilizzate da chi non è disabile per rispetto nei confronti delle persone con disabilità, e anche perché il loro uso improprio è insicuro per le altre persone e rischia di danneggiare le attrezzature stesse.
A queste argomentazioni ne possiamo aggiungere una ulteriore che Vincenzoni non esplicita: educare i bambini al rispetto delle diversità fa sperare che un giorno questi diventino adulti consapevoli e rispettosi.
Il problema è che Vincenzoni non si è fermato qui, è voluto andare oltre. Scrive infatti: «prima di usare impropriamente l’altalena per i disabili, fermatevi un momento ed iniziate a pensare. A pensare al vostro figlio che piange perché non può andare sull’altalena perché rotta o occupata. Adesso che state pensando a questa situazione, dove vedete vostro figlio o figlia triste con le lacrime agli occhi, fate un ulteriore sforzo mentale e cercate di mettervi nei panni di chi, non per sua scelta, ma per le cause della vita si trova a vivere una situazione di diversità. Il bambino disabile è costretto a passare la vita fin da piccolo su una sedia a rotelle senza la gioia di poter correre, giocare a palla, cadere per poi rialzarsi o semplicemente mettersi a sedere in terra per giocare come gli altri bambini, ma costretto ad essere spinto da un genitore perché la sedia a rotelle è troppo pesa. Seduto sul suo “TRONO” (la sedia a rotelle) pensate un attimo a cosa può provare ogni volta che si paragona agli altri bambini normodotati. Finalmente qualcheduno ha provveduto con sforzi di solidarietà a dotare il parco con una bella altalena per dare anche al “BAMBINO seduto sul TRONO” una parvenza di normalità e momenti di gioia. Una gioia che però grazie all’uso improprio gli può venire negata a causa della rottura dell’altalena. Dopo essere stato spinto dal genitore all’unico parco con un’altalena inclusiva, la trova rotta. Il dispiacere e le lacrime di questo bambino come vi dovrebbero far sentire? Come diceva Fantozzi nei suoi film, e per non usare altri termini impropri, “non vi sentite come delle merdacce?” [grassetti e maiuscole come nel testo originale, N.d.R.]».
Sul fatto che le attrezzature riservate alle persone con disabilità non vadano utilizzate impropriamente, come già detto in precedenza, possiamo concordare; ciò che invece andrebbe proprio evitato è il fin troppo abusato registro pietistico per cui chi si trova in sedie a rotelle (che sia bambino o adulto) passi il tempo ad affliggersi per tutte le cose che non può fare (correre, giocare a palla, cadere e rialzarsi…).
Le persone con disabilità, come tutte le altre, possono avere dei momenti di sconforto (anche legati alla disabilità, perché no?), ma fanno anche in fretta ad apprendere le tantissime e meravigliose cose che si possono fare anche da seduti. Capisco che la scelta di battere su certi tasti sia funzionale a colpevolizzare ulteriormente i genitori che non educano adeguatamente i propri figli, ma il danno culturale di invitare qualcuno a guardare con compassione le persone con disabilità non vale la più gigantesca delle candele.
Le persone con disabilità possono certamente vivere una vita dignitosa, se la società le mette in condizione di farlo. Per conseguire questo scopo è necessario, tra le altre cose, contrastare l’uso improprio degli accorgimenti pensati per consentire loro di “partecipare alla pari” alla vita di comunità (non solo delle altalene), ma anche, e con uguale convinzione, l’idea che avere una disabilità sia solo e necessariamente una mancanza, e non anche uno dei tanti modi in cui si può stare al mondo.
Le persone con disabilità devono fare i conti con gli “sguardi impropri” anche dopo che hanno smesso di utilizzare le altalene. È difficile sanzionare uno “sguardo improprio” poiché esso non viola alcuna norma scritta, ma possiamo confidare sul fatto che chi ha avuto la prontezza di reagire all’uso improprio delle altalene, avrà anche l’intelligenza di cambiare prospettiva nel momento in cui si renderà conto che non sempre è sufficiente fare la cosa giusta, a volte è necessario farla anche nel modo giusto.