Ci siamo già ampiamente occupati, in altre parti del giornale (a questo e a questo link), di due tra i numerosi progetti sviluppati in àmbito di tecnologie robotiche e biomeccatroniche, da parte dei ricercatori dell’IRCCS Fondazione Stella Maris di Calambrone (Pisa) e della Sezione di Neuropsichiatria Infantile dell’Università di Pisa, anche in collaborazione con altri enti.
Si tratta di una branca della scienza divenuta oramai fondamentale per promuovere lo sviluppo della mente e del cervello in età evolutiva e le varie iniziative promosse a Pisa hanno l’obiettivo comune di realizzare nuove metodiche e strumentazioni, volte anche alla diagnosi precoce e alla cura, tramite, ad esempio, la messa a punto e alla sperimentazione di nuovi modelli di riabilitazione (teleriabilitazione o robotica in educazione) in bambini con disturbi del neurosviluppo (del movimento, della visione, del linguaggio, dell’intelligenza sociale….), e in particolare nella paralisi cerebrale e nei disturbi dello spettro autistico, le principali cause di disabilità grave nell’età evolutiva.
Una serie di progetti vengono presentati in questi giorni e fino al 13 settembre al Festival Internazionale della Robotica di Pisa e tra questi vi sono le simpatiche api-robot di e-Rob, che hanno già consentito a numerosi bambini con disabilità di sperimentare la cosiddetta robotica educativa, insieme ai loro compagni di scuola e alle quali, come detto, abbiamo già dato ampio spazio, così come per CareToy, sorta di “palestrina intelligente”, composta di giocattoli sensorizzati e controllati a distanza, che potrà consentire di curare a casa bambini molto piccoli, a rischio appunto di paralisi cerebrale.
Qui ci occupiamo di altre realizzazioni presenti al Festival di Pisa, a partire da Tele-UPCAT, voluto ai fini della riabilitazione a domicilio dell’arto superiore in bambini con paralisi cerebrale, mediante l’uso di sensori indossabili per misurarne le attività quotidiane.
«Ogni anno in Italia – spiega Giuseppina Sgandurra, ricercatrice all’Università di Pisa e alla Fondazione Stella Maris – circa 400 nuovi bambini sviluppano una paralisi cerebrale a tipo emiplegia, con importante compromissione della funzionalità dell’arto superiore, che determina difficoltà nell’ambito delle abilità di vita quotidiana. Alla riabilitazione in questo àmbito, le famiglie e il Sistema Sanitario Nazionale dedicano notevoli sforzi con elevato impegno economico. È inoltre necessario sviluppare e sperimentare nuove e più efficaci strategie di intervento, rispetto a quelle finora disponibili. In tale contesto, le tecnologie a domicilio possono rappresentare una buona opzione per ridurre il costo dei servizi e ottenere miglioramenti funzionali. In tal senso, la recente scoperta del sistema dei “neuroni-specchio” ha favorito lo sviluppo dell’Action-Observation Training (AOT), basato sull’osservazione di azioni significative, seguita dalla loro esecuzione. Ebbene, l’AOT è stato utilizzato con risultati promettenti in alcuni studi pilota, principalmente condotti su pazienti adulti colpiti da ictus».
Recenti studi clinici condotti dalla stessa Scandurra alla Fondazione Stella Maris hanno dimostrato altresì l’efficacia dell’AOT anche nei bambini e proprio da tali studi è stato avviato un nuovo progetto, denominato appunto Tele-UPCAT, finanziato dal Ministero della Salute.
«Fino ad oggi – spiega Scandurra, che ne è la responsabile scientifica – senza la tecnologia potevano essere riabilitati con questo nuovo metodo solo i bambini e le famiglie che vivevano in aree vicine a un centro clinico specialistico. Inoltre, il trattamento intensivo – spesso consigliato in riabilitazione – non può essere applicato per ragioni pratiche ed economiche. L’utilizzo di tecnologie dedicate che permettono di mostrare a casa video con azioni manuali da imitare in modo sequenziale e adattato al bambino, videoregistrandone contemporaneamente le attività e misurandone i movimenti degli arti superiori, nell’àmbito del Progetto Tele-UPCAT, permette di effettuare il trattamento direttamente a domicilio, anche a centinaia di chilometri dal centro specialistico. Per la misurazione dei movimenti, una buona soluzione tecnologica è stato l’uso dei cosiddetti “attigrafi”, cioè accelerometri spaziali che permettono di misurare l’attività motoria (condizione di movimento contro riduzione di movimento) anche per tempi protratti, basandosi su dati accelerometrici. Il progetto è in piena fase di sperimentazione e prevede l’arruolamento di un ampio campione sul territorio nazionale di bambini con emiplegia».
Grande interesse riveste poi lo sviluppo di nuovi modelli ingegnerizzati per la valutazione dei movimenti neonatali e infantili, altro progetto in fase di realizzazione.
«I movimenti del corpo – spiega in questo caso Andrea Guzzetta, associato di Neuropsichiatria Infantile all’Università di Pisa e direttore del Laboratorio SMILE (Stella Maris Infant Lab for Early Intervention) – iniziano in una fase precocissima dello sviluppo fetale, ad appena due mesi dal concepimento e molto prima che la madre possa percepirli. Essi rappresentano il primo linguaggio attraverso il quale il feto prima e il neonato successivamente interagiscono con l’ambiente circostante, e sono espressione diretta del nascente funzionamento cerebrale. Come per tutti i linguaggi complessi e ancora in parte ignoti, anche nello studio del movimento nascente l’utilizzo delle nuove tecnologie può essere determinante nel decifrarne il “codice”, in modo tale da caratterizzare i movimenti fisiologici e identificare precocemente quelli anomali. È già stato dimostrato, ad esempio, come moltissimi disturbi dello sviluppo, dalle paralisi cerebrali ai disturbi genetici, dall’autismo alle malattie neurometaboliche, siano caratterizzati da un’alterazione della motricità precoce e che una loro identificazione tempestiva potrebbe portare ad enormi miglioramenti nella prognosi, grazie alla possibilità di intervento già nelle primissime fasi di vita. Grazie dunque a un progetto attuato in collaborazione tra la Fondazione Stella Maris e l’Università finlandese di Helsinki, finanziato in prevalenza da enti statunitensi, stiamo mettendo a punto un modello ingegnerizzato che ci permetterà di caratterizzare gli aspetti cinematici del movimento umano neonatale e infantile, di definirne la variabilità tipica e di determinarne le anomalie, quando presenti. Un punto di forza sarà l’estrema economicità del progetto, essendo la tecnologia che ne sta alla base estremamente diffusa nel mondo dei giochi virtuali. Per una volta, quindi, Playstation e Xbox non faranno rima solo con divertimento, ma con vita e salute, e daranno speranze ai bambini con disturbi dello sviluppo fin dai primissimi giorni di vita».
Gli ultimi due progetti di cui ci occupiamo sono direttamente mirati all’autismo. Per quanto riguarda il primo, studi recenti svolti in molti Paesi indicano che l’utilizzo di robot umanoidi può essere efficace anche nel trattamento dell’autismo. Sfruttando infatti l’empatia che si instaura tra i piccoli e i robot, sembrerebbe possibile abituare i bambini con autismo a interagire meglio con il mondo esterno.
Un esempio di tale approccio è il Progetto del Robot FACE, sviluppato dal Centro Piaggio dell’Università di Pisa, in collaborazione con la Fondazione Stella Maris. Qui il piccolo robot NAO è stato impiegato dal gruppo di Filippo Muratori, associato di Neuropsichiatria Infantile all’Università di Pisa e Direttore del Laboratorio di Bioingegneria dell’Interazione Sociale della Stella Maris, nell’àmbito di Michelangelo, progetto di ricerca finanziato dalla Commissione Europea.
Tale iniziativa, attraverso l’utilizzo delle più avanzate soluzioni della Tecnologia dell’Informazione e della Comunicazione, si è proposta di esplorare nuove strategie nel campo della diagnosi, dell’intervento e della riabilitazione dei bambini con disturbi dello spettro autistico. In particolare, le tecnologie utilizzate nell’àmbito di Michelangelo includono i sensori indossabili per il monitoraggio dei parametri fisiologici, i cosiddetti Serious Games, giochi intelligenti che permettono lo sviluppo di particolari competenze socio-comunicative, l’elettroencefalografia ad elevata densità e appunto il robot NAO.
Quest’ultimo, come detto, è un piccolo robot umanoide che comunica attraverso semplici movimenti corporei e linguaggio verbale. All’interno di Michelangelo, esso è stato utilizzato insieme al sensore Kinect, in modo tale da catturare il movimento del bambino durante l’interazione con il robot stesso. Sono stati condotti quindi test d’interazione del bambino con il robot durante protocolli di imitazione e di attenzione condivisa, mentre il bambino indossava sensori indossabili per il monitoraggio di parametri fisiologici.
In sostanza, il metodo proposto da Michelangelo si è proposto di aumentare l’efficacia del trattamento terapeutico, grazie anche alla sua “intensità”, alla sua “personalizzazione” e all’adattamento continuo alle caratteristiche peculiari di ciascun bambino e all’evoluzione della sua patologia.
Infine, le tecnologie di eye-tracking (letteralmente “tracciamento oculare”) per l’individuazione di segni precoci di disturbi dello spettro autistico. Qui va detto che la diagnosi precoce di autismo è a tutt’oggi una delle maggiori sfide per i clinici, in quanto un’identificazione precoce del disturbo, unita a un tempestivo trattamento riabilitativo, consente un significativo miglioramento della sintomatologia.
L’eye-tracking è uno strumento non invasivo per registrare la direzione dello sguardo del bambino, tecnologia sempre più utilizzata nell’autismo, e in particolare nei bambini molto piccoli, per mettere in evidenza segnali precoci del disturbo. Uno degli indicatori comportamentali precoci dell’autismo è infatti il deficit nello sviluppo dell´attenzione condivisa, cioè della capacità di condividere l’attenzione con altre persone in modo coordinato.
Sempre il gruppo di ricerca diretto da Filippo Muratori ha sviluppato il primo protocollo di eye-tracking per lo studio delle due componenti dell’attenzione condivisa, ovvero la risposta e l’iniziativa, nei bambini con autismo. Esso è stato applicato in bambini con autismo di 18 mesi, messi a confronto con bambini “a sviluppo tipico” e i risultati dello studio sono stati pubblicati su una prestigiosa rivista del gruppo «Nature».
Attualmente è in fase di sperimentazione un ulteriore protocollo di ricerca, sempre basato sull’eye-tracking nei fratellini di bambini con autismo a 12 mesi, per lo studio del disangagement, ovvero della capacità di “sganciare” lo sguardo da uno stimolo centrale per rivolgerlo ad uno stimolo periferico. Questo lavoro permetterà di evidenziare dei biomarcatori precoci di rischio di autismo legati all’orientamento visivo già a partire dal primo anno di vita. (S.B.)
Per ulteriori informazioni e approfondimenti: Ufficio Stampa Fondazione Stella Maris, Calambrone (Pisa), Roberta Rezoalli, r.rezoalli@gmail.com.