La nostra libertà ha una data di scadenza!

di Simona Lancioni*
Oggi, 3 novembre, domani, sabato 4 e dopodomani, domenica 5, ci sarà l’iniziativa “Liberi di fare”, basata su numerose manifestazioni sincronizzate in molte piazze italiane, per chiedere il finanziamento dei progetti di Vita Indipendente per le persone con disabilità. Si tratta di un evento - ma anche di una rete autocostituita - nato da una lettera aperta indirizzata al Presidente del Consiglio e ai Ministri da Elena e Maria Chiara Paolini, due sorelle con grave disabilità, che vi scrivevano tra l’altro di «voler vivere adesso, con una libertà che non abbia data di scadenza»
Logo dell'evento "Liberi di fare"
Il logo dell’evento “Liberi di fare”

Oggi, 3 novembre, domani, sabato 4 e dopodomani, domenica 5, ci sarà l’iniziativa denominata Liberi di fare, basata su una serie di manifestazioni sincronizzate in molte piazze italiane per chiedere il finanziamento dei progetti di Vita Indipendente per le persone con disabilità, espressione con la quale notoriamente si intende la possibilità per le persone con disabilità di assumere un assistente personale che svolga – con il suo supporto – tutte quelle attività che le persone con disabilità non possono svolgere in autonomia, attività vitali, come lavarsi, vestirsi o bere un bicchiere d’acqua e altre, che se non le fai tecnicamente non muori, ma non puoi certo dire di essere una persona libera!

L’idea di rilanciare platealmente il tema della Vita indipendente delle persone con disabilità si deve a due sorelle con disabilità grave, Elena e Maria Chiara Paolini, che il 1° ottobre scorso, attraverso la loro pagina Facebook, hanno pubblicato una lettera aperta indirizzata al Presidente del Consiglio e ai Ministri.
Giovani e grintose, le sorelle Paolini, che gestiscono il blog Witty wheels. Storie, pensieri e scherzi di due sorelle in carrozzina, utilizzano uno stile informale: «Caro Presidente del Consiglio e cari Ministri, come butta?». Quindi si presentano: «Siamo due sorelle, Elena (quella con la maglia bianca) e Maria Chiara (quella con la maglia gialla). Siamo disabili. Più precisamente, da sole, non riusciamo a fare quelle cose che la gente di solito fa se vuole restare viva. Quindi mangiamo, ci laviamo, puliamo casa e abbiamo una vita sociale innanzitutto grazie a delle assistenti personali. Le nostre assistenti agiscono al posto delle nostre gambe e braccia, e questo ci permette di “fare cose vedere gente” e in generale vivere come c***o ci pare [grassetti nostri in questa e nelle successive citazioni, N.d.R.]».

E tuttavia, servirsi di qualcuno per svolgere gli atti quotidiani della vita ha un costo: «Le paghiamo [le assistenti personali, N.d.R.] grazie a due cose: i fondi ridicoli che lo Stato ci dà e gli enormi sforzi economici della nostra famiglia. Ma questi soldi finiranno presto, e allora dovremo limitare seriamente la nostra vita, e indipendenza, e felicità. La nostra libertà ha una data di scadenza. […] Sì, perché i contributi statali attuali, di entità diversa di regione in regione, sono niente più che un’elemosina, una presa per i fondelli neanche tanto sottile. “Non c’è budget”, e intanto una persona non esce di casa da un mese. “Hanno tagliato i fondi”, e intanto qualcun altro non si può lavare da una settimana. “Non ci sono i soldi”, e intanto un ragazzino non può uscire con gli amici. Eppure paghiamo le tasse, e ci aspettiamo che ci tornino».

Il problema, poi,  non è solo quello dell’esiguità dei fondi, ma anche dell’impiego di quelli stanziati: «I fondi che ogni tanto vi vantate di stanziare per i disabili in realtà vengono destinati in gran parte alle case di cura, perché dietro alla case di cura – diciamolo ad alta voce – ci sono lucrosi interessi. È lì che va chi non ha parenti, partner o amici che possano lasciare il loro lavoro per assisterlo. Ma cosa succede in una struttura residenziale per disabili? Immaginate di non poter uscire, non poter vivere con chi vi pare, non poter compiere scelte e non avere libertà di movimento. Che tutto questo sia legale, solo perché sei disabile. Che tutto questo sia sconosciuto e sotterraneo, perché i reporter là dentro non ci arrivano».

Elena e Maria Chiara Paolini
Elena (a sinistra) e Maria Chiara Paolini

Il testo delle sorelle Paolini contiene richieste precise, ma il tono non è dimesso, poiché Elena e Maria Chiara hanno ben presente che non stanno chiedendo favori: «abbiamo bisogno di assistenza ora, per vivere le nostre vite adesso. Al momento ce la caviamo alla meno peggio e perdiamo opportunità, facendo con quel che c’è e rimanendo schiacciati: molti di noi stanno in pratica morendo, sprecando la vita. Spesso non possiamo neanche fare una cosa normale come cercare lavoro, perché semplicemente non possiamo permetterci una persona che ci vesta tutte le mattine, e lo spiegate voi al mio capo che non dispongo pienamente del mio tempo? Diciamo chiara una cosa: la tragedia non è il non essere autosufficienti, la tragedia è vivere in un Paese che pensa di essere ancora nel Medioevo».

E concludono così: «Non siamo passivi oggetti di cura da rabbonire e lisciare con promesse di cartapesta o briciole di diritti. Abbiamo una lunga lista di ambizioni e aspirazioni, e nessuna intenzione di lasciar perdere. Siamo stanchi di sacrifici, fondi insufficienti e in ritardo, continue attese, contentini temporanei e rimbalzi di responsabilità. La clessidra della nostra sopportazione sta finendo, e siamo pronti a scendere in piazza se non vediamo risposte concrete. Vogliamo che venga dato a ciascuno secondo il proprio bisogno di assistenza. Sappiamo che quando volete vi muovete veloci, quindi aspettiamo azioni, e in fretta. Siamo qui, e non ce ne andiamo».

Ed eccole dunque a scendere in piazza con Liberi di fare, un evento, ma anche «una rete autocostituita, libera, indipendente e apartitica di persone disabili e non che rivendicano il diritto all’assistenza personale necessaria alle persone disabili, con l’obiettivo di perseguire l’autodeterminazione di queste ultime», i cui scopi primari sono «esortare le istituzioni italiane ad investire nelle politiche di welfare per garantire un pieno diritto all’assistenza per le persone che ne hanno bisogno, garantendo fondi adeguati e continui a seconda delle necessità individuali, sulla base di una preventiva analisi dei bisogni; sensibilizzazione e coinvolgimento dell’opinione pubblica, consapevoli che per perseguire i propri scopi è necessario far uscire le problematiche delle persone disabili da un mondo ristretto e settoriale per coinvolgere tutti i cittadini ed esortarli a sostenere un diritto che, come tale, interessa l’intera collettività».

Le prime adesioni sono già arrivate da Ancona, Macerata, Ascoli Piceno, Fermo, Senigallia, San Benedetto del Tronto, Fano, Pesaro, Roma, Bologna, Perugia, Torino… e la lista è in aggiornamento.
Le persone con disabilità hanno dunque buoni motivi per scendere in piazza. Ma li hanno anche le persone senza disabilità, perché libertà e autodeterminazione non sono questioni che riguardano solo le persone con disabilità.

Responsabile di Informare un’H-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli, Peccioli (Pisa). La presente nota costituisce il riadattamento di un testo apparso nel sito di tale Centro.

Per ulteriori informazioni: wittywheels.blog@gmail.com.
Per approfondire:
° Carta dei princìpi di Liberi di fare.
° Pagina Facebook dell’iniziativa Liberi di fare.
° Blog di Liberi di fare.
° Video promozionale di Liberi di fare.
° Hashtag #liberidifare su Twitter.
° Lettera aperta di Elena e Maria Chiara Paolini.

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