Diego Pelizza, classe 1994. Lo osservo mentre entra in classe per la prima volta. Si siede al primo banco. È uno studente del DAMS [Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo, N.d.R.] e attualmente frequentiamo un Master in Sceneggiatura organizzato dall’Università di Padova. Sono i primi giorni e non conosco nessuno e così mi trovo a osservare i miei vicini nella speranza di riuscire a conoscerli. Qualche minuto prima che inizi la lezione, Diego si siede a fianco a me, estrae un quaderno dallo zainetto e parliamo un po’.
Diego è uno di quei ragazzi che non si vedono troppo in giro, un ventenne riflessivo, di poche parole. Poche, ma decisamente buone. Sa il fatto suo, ma io non so nulla dei fatti suoi, motivo per il quale impiego qualche mese prima di scoprire che ha pubblicato un libro intitolato Vola più in alto (CLEUP, 2015).
Non posso fare a meno di chiedergli di parlarmene e qualche giorno dopo me ne porta una copia. Temo di non riuscire a trovare il tempo di leggerlo nel breve periodo. Poi salgo sul treno, leggo qualche riga, e dopo poco non riesco più a smettere. La storia di Davide, il protagonista è molto avvincente. Tre giorni dopo l’ho già terminato.
Al di là degli stereotipi
Vola più in alto è dedicato al fratello autistico di Diego, Emiliano – nel libro Edo – ma anche e soprattutto a se stesso, al Diego bambino e al Diego adolescente che ha condiviso le gioie e i dolori della sua famiglia e che, come tutti i giovani della sua età, si è interrogato a lungo sul senso degli avvenimenti della sua vita, tentando di incasellare il tutto e di dare un nome al senso di impotenza e al bisogno di attenzioni che ha provato a più riprese.
La settimana dopo incontro nuovamente Diego e non vedo l’ora di ottenere qualche dettaglio in più sul romanzo. Vorrei sapere quanto c’è di lui in quel libro e subito mi spiega che il personaggio di Davide rappresenta una parte di sé indubbiamente vera e che la stessa cosa vale per il suo rapporto con il fratello, anch’esso autistico. Diego, da bravo scrittore, non si tira indietro.
«La mia famiglia ed io abbiamo scoperto che Emiliano era autistico solo dopo il compimento del suo quarto anno di vita; io, ovviamente, all’epoca non sapevo nemmeno cosa volesse dire. La mia vita familiare è stata complicata, piena di alti e bassi. Ci sono stai momenti molto difficili e mi riferisco anche al trapianto di fegato che Emiliano ha subito all’età di due mesi; una situazione delicatissima, se si pensa che è stato il bambino più piccolo in Italia ad avere subito un trapianto. Poi c’è stato un periodo in cui aveva delle crisi molto violente, durante le quali faceva del male a se stesso e a chi gli stava intorno. Sono stati anni difficili per me, perché il rapporto con mio fratello era sempre caratterizzato da sentimenti contrastanti: affetto, tenerezza, empatia e senso di protezione, ma anche tanta rabbia. Siamo stati assieme per molto tempo e quando ero piccolo, adoravo farlo ridere e facevamo spesso la lotta, ho dei bei ricordi. In molti pensano che gli autistici siano persone apatiche e incapaci di provare emozioni, ma posso assicurare che non è così».
Vivere la disabilità dei fratelli
Cerco di chiedere a Diego se anche lui, come il protagonista del romanzo, ha avvertito il bisogno di parlare della sua vita e del suo rapporto con il fratello e lui mi spiega che la stesura del libro lo ha aiutato a cambiare la sua prospettiva e quindi il modo di vivere la disabilità del fratello.
«Prima – dice – non riuscivo a parlare di lui neanche con i miei amici, mentre ora ne parlo pubblicamente anche davanti ad estranei. Da tempo progettavo di scrivere un libro sui siblings [i fratelli e le sorelle delle persone con disabilità, N.d.R.], perché ho sempre avvertito l’esigenza di fare chiarezza dentro di me, ma anche perché, quando si parla di disabilità, la prospettiva dei fratelli non viene quasi mai presa in considerazione. Volevo far capire agli altri che cosa significa crescere e convivere con un fratello autistico, e dire agli altri fratelli e sorelle che non sono soli, che ce ne sono tanti altri che affrontano quotidianamente le stesse difficoltà. Io stesso mi sono sentito solo tante volte, perché avevo l’impressione che gli altri non riuscissero a capirmi e non c’è niente di peggio che vivere una situazione di difficoltà con la sensazione che nessuna delle persone che ti sta attorno possa capire cosa stai vivendo».
Ma non è tutto qui. Diego ha uno scopo preciso, essere obiettivo, ed evitare di smussare eccessivamente gli aspetti problematici della coesistenza con la disabilità e raccontare un rapporto fraterno in maniera autentica in tutte le sue sfumature.
«Spesso i fratelli dei ragazzi in difficoltà si sentono in colpa, perché provano rabbia o vergogna nei confronti del fratello e bisogna capire che anche questi sentimenti sono normali, che non c’è nulla di sbagliato a provarli, che accettare la propria situazione familiare può richiedere diversi anni».
Ed effettivamente risulta difficile dargli torto. Penso alle difficoltà del protagonista del libro, Davide, alle prese con la famiglia e con i suoi dubbi esistenziali, la sua timidezza, il suo bisogno di gridare al mondo: «Ehi, ci sono anch’io!».
La storia di Davide è la storia di tutti noi: un giovane che affronta l’università, che tenta di farsi nuovi amici, che non si accontenta di restare in superficie e cerca un posto dove sentirsi protetto e una ragazza con la quale essere se stesso.
Fino a qui, potremmo dire che il racconto non si scosta molto dalle storie di milioni di persone. La peculiarità di Vola più in alto, però, risiede nel coraggio con il quale Davide, alias Diego, affronta la sua sofferenza e ammette di aver bisogno di un proprio spazio, spostando il focus dal fratello a se stesso, richiamando così l’attenzione di tutti quei ragazzi che vivono la sua stessa situazione.
«Non è che si possa fare molto per migliorare la situazione», chiarisce Diego, che aggiunge: «Il dramma dei fratelli delle persone con disabilità consiste anche in questo: non possono dare la colpa a nessuno per la loro situazione e, di certo, non possono incolpare i genitori se dedicano più tempo al fratello invece che a loro, perché è normale e giusto che sia così. I fratelli e le sorelle si rendono conto di non potersi lamentare, si sentono in obbligo di comportarsi sempre bene, per non arrecare ulteriori problemi ai genitori, come se i loro problemi personali fossero meno importanti rispetto a quelli complessivi della famiglia, ma la sofferenza che provano è reale e rischiano di implodere perché tendono a tenersi tutto dentro. Da questo punto di vista, una buona soluzione sarebbe fare in modo che i siblings frequentassero altri siblings sin da piccoli, in modo da potersi confrontare con altri ragazzi che provano i loro stessi sentimenti e affrontano le stesse avversità e, allo stesso tempo, imparare a volare più in alto della realtà».
Amare vuol dire conoscere e conoscersi
A giudicare dalle decine di messaggi che Diego ha ricevuto in seguito alla pubblicazione del suo libro, si potrebbe dire che l’Autore sia riuscito nel suo intento. Sì, perché Vola più in alto non è solo un titolo che racchiude il senso del suo racconto, ma è la frase che la mamma di Diego ha ripetuto al figlio per anni, esortandolo a reagire e a trovare la forza di non farsi schiacciare dalle difficoltà.
Vola più in alto è anche l’incoraggiamento che la mamma del protagonista ripete al suo ragazzo quando lo vede sconfortato, una filosofia di vita che accompagna il lettore e lo avvolge regalandogli serenità.
Sì, perché anche se noi lettori non viviamo direttamente la storia di Diego/Davide, ci sentiamo parte di quella famiglia, siamo dalla loro, mentre immaginiamo i loro volti e apprezziamo la loro capacità di affrontare la vita senza piangersi addosso, accettandola per quello che è, un dono, ma anche una sfida, dove l’unica cosa che si può scegliere è il modo in cui vogliamo vedere le cose.
Ed è questo ciò che fa Diego, che con la sua penna è riuscito a dar voce ai fratelli dei disabili che vogliono volare più in alto, senza dimenticare ciò che sono e da dove vengono. Il suo pregio è proprio quello di essere riuscito a regalare una lezione d’amore a tutti noi. Perché l’amore non è solo gioia, ma è fatto anche di momenti bui, di lunghi silenzi e incomprensioni necessari per apprezzare fino in fondo la presenza dell’altro e quindi per apprezzare noi stessi.