Alla nascita di un/a bambino/a cui viene diagnosticata una patologia invalidante congenita, l’istinto porta i genitori a ricercare una cura che possa debellarla. Incoraggiati da un sistema sanitario collusivo, si corre così il rischio di porre in primo piano l’aspetto sanitario, perdendo di vista tutti gli altri aspetti di carattere psicologico e sociale.
Occorre però soffermarsi a riflettere sul fatto che lo stato dell’arte della ricerca – nonostante gli sforzi di studiosi, pazienti e famiglie – attualmente non consente di curare in maniera definitiva le patologie neurologiche o che interessano l’apparato muscolo-scheletrico. Diventa per tale motivo cruciale lavorare per aiutare le famiglie, e i bambini stessi, ad affrontare la dolorosa realtà della condizione di disabilità e ad accettare il fatto che essa sarà l’ingombrante compagna di viaggio con cui fare i conti nel percorso di vita.
In nessun modo si può pensare di “sospendere” l’esistenza in attesa della guarigione, perché la vita di una famiglia prosegue senza soluzione di continuità anche dopo la nascita di un/a bimbo/a con disabilità, e quella psicologica di quest’ultimo/a inizia nell’immediatezza della sua venuta al mondo. Si apre così quello che gli psicologi evolutivi definiscono il periodo critico, concentrato nei primi quattro anni di vita del bambino, i cui eventi avranno un peso determinante nella caratterizzazione della sua personalità e della sua salute mentale.
È ovvio che la ricerca della guarigione rappresenta la razionalizzazione di un meccanismo di difesa che i genitori sotto shock mettono in atto per difendersi da emozioni incontenibili e dolorose. La fase di rifiuto è un passaggio inevitabile e fisiologico nell’elaborazione del lutto per la perdita del figlio immaginato e atteso, e tuttavia spetta al personale sanitario non alimentare aspettative illusorie, prolungandola all’infinito.
Il processo di consapevolizzazione della nuova realtà è molto delicato e necessita del contenimento psicologico di emozioni disforiche [“ di ribellione”, N.d.R.] e pensieri irrazionali. Per tali motivi deve essere condotto da esperti del trattamento psicologico e non può essere demandato a medici o infermieri che hanno altri compiti e altre competenze.
Il trattamento degli aspetti psicologici e sociali deve diventare parte integrante del trattamento sanitario e non può più essere considerato un aspetto facoltativo. Gli strumenti che possono essere messi in campo e gli interventi possibili sono molteplici. Essi sono funzionali al benessere del bambino e della famiglia nel presente, alla prevenzione di problematiche psicologiche in età adulta, nonché al mantenimento dell’aderenza terapeutica ai complessi e invasivi trattamenti medico-chirurgici e trial clinici.
Uno di detti interventi è il sostegno psicologico alla coppia genitoriale, che ha ricadute positive sullo sviluppo psicologico del/la bambino/a. La funzione psicologica dei genitori, in ultima analisi, consiste nel fornire al/la figlio/a un ambiente psicologico caldo, affettuoso e incoraggiante, sintonizzato sia sui suoi momenti di gioia che di disperazione. Perché i genitori possano essere pronti a svolgerla, necessitano a loro volta di poter esprimere tutti i loro vissuti in piena libertà, nell’àmbito protetto della consulenza psicologica. L’assenza di giudizio e la totale riservatezza consentono l’elaborazione di contenuti che, espressi nei contesti informali, determinerebbero conflitti e sofferenza.
Gli obiettivi da perseguire in questa fase sono:
– L’attenuazione dei sentimenti di dolore e rabbia, al fine di prevenire stati depressivi, sentimenti di colpa e inadeguatezza o eccessiva conflittualità;
– Il rafforzamento della complicità della coppia genitoriale e l’intercambiabilità di ruoli all’interno della famiglia;
– Il potenziamento del senso di fiducia da parte dei genitori nelle loro capacità di prestare cure a un bambino con particolari necessità;
– La demitizzazione della disabilità, spesso considerata come uno stigma sociale che identifica il bambino e la famiglia, isola dalla rete di familiari e amici, predispone a una modalità conflittuale, anticipando e amplificando atteggiamenti di discriminazione da parte del sociale.
È importante tenere presente che il bambino struttura il suo senso del Sé principalmente a partire dagli aspetti non verbali che accompagnano i gesti di cura: le tensioni affettive che traspariranno dai gesti, dalla tensione muscolare, dal tono di voce ecc. saranno assorbite dalla sua mente e andranno a sedimentarsi nei suoi modelli operativi interni. La serenità con la quale verranno prestate le cure sarà propedeutica alla costituzione di un senso del Sé positivo.
Detta serenità dev’essere incentivata monitorando l’equilibrio di soddisfazione di tutti i membri del nucleo familiare nei vari àmbiti della vita. La rinuncia totale alla soddisfazione di un àmbito della vita da parte di un componente della famiglia andrà a costituire un debito morale per la persona con disabilità, che minerà la sua autostima e l’avvio di un futuro percorso di indipendenza.
È pertanto necessario legittimare e incoraggiare ogni sforzo affinché ognuno riesca – seppur con qualche aggiustamento – a mantenere un livello accettabile di soddisfazione nei vari àmbiti. Per fare questo, sarà necessario creare una rete assistenziale affidabile e potenziare le competenze di autonomia, aiutando i genitori a diventare consapevoli che gli atteggiamenti iperprotettivi sono dettati da sentimenti di colpa e fantasie di riparazione.
La crescita dell’autostima del bambino è favorita anche dalla socializzazione con i pari. A tal proposito, il parent training favorisce l’assunzione di un atteggiamento assertivo e creativo nell’agevolare le attività ludiche del bambino. Assertivo perché sarà necessario rispondere in maniera dialogante alle piccole-grandi discriminazioni che adulti e bambini potranno attuare nei suoi confronti, creativo per superare le difficoltà concrete che il bambino incontrerà per giocare insieme agli altri, ricercando tipologie di gioco accessibili e/o utilizzando ausili tecnologici che amplino le sue possibilità.
È infine auspicabile che famiglia, équipe medica e psicologica ragionino lucidamente sugli interventi medici, chirurgici e sui ricoveri, ottimizzando il più possibile costi e benefìci. A fianco dei trattamenti mirati alla ricerca di una cura per la malattia, ci sono infatti tutta una serie di interventi che possono migliorare lo stato di salute, incentivare l’autonomia e migliorare lo schema corporeo della persona con disabilità nel breve e medio termine. Considerando lo stress psicologico che comporta ogni intervento medico, è necessario, però, evitare interventi mirati unicamente a perseguire uno stereotipo di normalità, che non forniscono un effettivo miglioramento della qualità della vita.
Gli interventi fin qui elencati sono dedicati al contesto, nella convinzione che senza interferenze il/la bambino/a sia in grado di avere uno sviluppo psicologico sano anche nella disabilità e nella diversità. Ovvio che – ove la funzione di contenimento dei genitori non riesca a funzionare correttamente – è possibile che debba essere temporaneamente surrogata da un sostegno psicologico rivolto al bambino. E tuttavia, se la presa in carico della famiglia avviene tempestivamente, si minimizzerà la probabilità di un’evoluzione in senso patologico.
È importante sottolineare che disabilità e disagio psicologico non sono in un rapporto di causa effetto, per svincolarsi da ogni fatalismo e per approcciarsi alle problematiche psichiche con la convinzione che si possano individuare le dinamiche che le generano e prevenirne l’insorgenza.