L’approvazione della Legge 170/10 [“Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico”, N.d.R.] ha sancito il riconoscimento dei DSA (disturbi specifici di apprendimento) e fugato ogni dubbio a chi ancora considera questi disturbi come una “scusa”.
Tale norma è nata con l’obiettivo di tutelare gli studenti con DSA, dando risposte alle loro specifiche caratteristiche di apprendimento. Essa, inoltre, parla di finalità che vengono espresse come «garanzie», come «impegno formativo», con l’individuazione di compiti e assegnazione di ruoli. In sostanza, alla scuola spetta una posizione centrale nella presa in carico degli alunni e degli studenti con DSA (si confronti a tal proposito Luciana Ventriglia, in BES e DSA: la scuola di qualità per tutti, di Annapaola Capuano, Franca Storace e Luciana Ventriglia, 2013).
Gli alunni/studenti con DSA, per poter usufruire delle misure previste dalla Legge 170/10, devono essere in possesso di una diagnosi certificata di DSA. Quest’ultima, in Italia, viene eseguita alla luce delle Raccomandazioni Cliniche fornite dalle Conferenze di Consenso (2007, 2010, 2011). In particolare, le Raccomandazioni prodotte dalla Consensus Coference dell’ISS (Istituto Superiore di Sanità) sono «basate sui più aggiornati dati scientifici di prova adattati al contesto italiano secondo il giudizio di una giuria multidisciplinare, rappresentativa dei diversi possibili approcci e interessi al tema» (Consensus Conference ISS, 2010).
La diagnosi, quindi, viene effettuata da un team multiprofessionale (neuropsichiatra infantile, psicologo, logopedista), secondo precisi criteri diagnostici e, per evitare la rilevazione di falsi positivi, prevede l’utilizzo di test standardizzati, sia per misurare l’intelligenza generale che l’abilità specifica.
«La definizione della diagnosi avviene in una fase successiva all’inizio del processo di apprendimento scolastico. È necessario, infatti, che sia terminato il normale processo di insegnamento delle abilità di lettura e scrittura (fine della seconda primaria) e di calcolo (fine della terza primaria)» (Consensus Conference ISS, 2010). Prima di questa età, l’elevata variabilità interindividuale nei tempi di acquisizione delle suddette abilità non permette di utilizzare i valori normativi di riferimento con le stesse caratteristiche di attendibilità riscontrate ad età superiori (Disturbi Evolutivi Specifici di Apprendimento. Raccomandazioni per la pratica clinica di dislessia, disgrafia, disortografia e discalculia, a cura di AID-Associazione Italiana Dislessia, Comitato Promotore Consensus Conference, Trento, Erickson, 2009).
Poiché le abilità scolastiche sono distribuite lungo un continuum, non vi è una soglia naturale che possa essere utilizzata per stabilire la presenza di un disturbo. Per una maggiore certezza diagnostica e per evitare il pericolo che la diagnosi possa essere inutilmente inflazionata, le citate Raccomandazioni Cliniche delle Consensus Conference hanno stabilito soglie più rigide rispetto ad altri Paesi, per poter considerare deficitaria una prestazione. Infatti, può essere considerata insufficiente una performance che si colloca, per la rapidità, al di sotto di 2 deviazioni standard dai valori normativi attesi per l’età o la classe frequentata e al di sotto del 5° percentile per i punteggi di accuratezza.
Se la diagnosi viene eseguita secondo i criteri suddetti, non può esserci il rischio di diagnosi facili.
Oggi la questione dislessia può sembrare sovradimensionata, dal momento che il numero di alunni con certificazione di disturbi specifici di apprendimento è sicuramente in significativo incremento, come rivelano i dati forniti dal Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca.
Tra gli anni scolastici 2010-2011 e 2014-2015, è vero, le certificazioni sono cresciute, ma questo accade anche perché dopo la Legge 170 del 2010, la scuola ha assunto un ruolo determinante nella presa in carico degli alunni con DSA e ad essa sono state richieste competenze organizzative, metodologiche, didattiche e valutative, che hanno portato a una maggiore attenzione nei confronti degli alunni con difficoltà di apprendimento e quindi a una maggiore individuazione di casi sospetti di DSA e alla loro segnalazione alle famiglie, con il conseguente riferimento ai servizi sanitari, per avviare il percorso per un’eventuale diagnosi (come indicato dall’articolo 2, comma 1 del Decreto Ministeriale 5669/11).
In ogni caso la percentuale degli alunni con diagnosi di DSA nella scuola italiana – come risulta oggi dai dati ufficiali del Ministero – non è del 18-20%, come qualcuno afferma, ma supera di poco il 2%, a fronte di un’incidenza media che, secondo le indagini epidemiologiche (così come riportato dai dati scientifici nazionali e dalle Linee Guida pubblicate dall’Istituto Superiore di Sanità), si attesterebbe intorno al 3,5% dell’intera popolazione scolastica.
Non ci troviamo, quindi, di fronte a una sovrastima dei casi di dislessia, quanto, piuttosto, alla presenza ancora di una grande parte di sommerso, oltre l’1,5 per cento.
Per ulteriori informazioni e approfondimenti: Ufficio Stampa AID – LIFE (Anna Morabito), amorabito@lifecommunication.agency; Comunicazione AID (Gabriele Brinchilin), comunicazione@aiditalia.org.
La dislessia, gli altri disturbi specifici di apprendimento e l’AID
Il più diffuso DSA (disturbo specifico di apprendimento) è la dislessia, cioè il disturbo specifico della lettura, che si manifesta e si evolve in concomitanza dell’inizio dell’attività scolastica, quando emergono le prime difficoltà nell’attivare in maniera fluente e senza affaticamento tutte quelle operazioni mentali necessarie per leggere, quali riconoscere le lettere singole, le sillabe e quindi le parole, associandole ai suoni corrispondenti. Frequenza degli errori e lentezza nella decodifica ne sono i tipici aspetti: il bambino può, per esempio, presentare difficoltà nel riconoscere, scambiandoli tra loro, grafemi che differiscono visivamente per piccoli particolari quali: “m” con “n”, “c” con “e”, “f” con “t”, “a” con “e”.
La persona con disortografia, invece, evidenzia la difficoltà a tradurre correttamente le parole in simboli grafici e a confondere il suono delle lettere (per esempio “f/v”, “t/d”, “p/b”, “c/g”, “l/r”).
Un terzo disturbo che impedisce alla persona di esprimersi nella scrittura in modo fluido è la disgrafia, caratterizzata da una grafia spesso illeggibile, da una pressione eccessiva sul foglio e dallo scarso rispetto degli spazi sul foglio.
C’è infine la difficoltà a comprendere simboli numerici e a svolgere calcoli matematici, conosciuta con il nome di discalculia. Stando ai dati, circa il 3% della popolazione studentesca è affetta da tale disturbo, che complica la lettura e la scrittura dei numeri e soprattutto l’elaborazione delle quantità. Gli errori collegati a questa problematica molto spesso non vengono riconosciuti nell’immediato. Diversi, infatti, sono i casi di discalculia erroneamente diagnosticati come dislessia.
L’AID (Associazione Italiana Dislessia)
È nata nel 1997 con la volontà di fare crescere la consapevolezza e la sensibilità verso il disturbo della dislessia evolutiva, che in Italia si stima colpisca circa 1.900.000 persone. L’Associazione lavora in particolare per approfondire la conoscenza dei DSA e promuovere la ricerca, accrescere gli strumenti e migliorare le metodologie nella scuola, affrontare e risolvere le problematiche sociali legate ai DSA. È aperta ai genitori e ai familiari di bambini dislessici, ai dislessici adulti, agli insegnanti e ai tecnici (logopedisti, psicologi, medici). (S.B.)