Si è svolto qualche giorno fa a Napoli, nello splendido scenario del Castel dell’Ovo, un interessante e sopratutto utile incontro pubblico sulle misure rivolte ai giovani del Sud, in particolare quelle che riguardano la possibilità di partire con percorsi imprenditoriali e la valorizzazione di beni e/o terreni altrimenti destinati all’abbandono o al degrado.
Dopo avere ricevuto l’invito, ho scritto all’organizzazione, chiedendo se l’evento fosse sottotitolato in diretta, una richiesta dettata dalla mia difficoltà di comprensione in quanto persona sorda, ricevendo via mail la risposta affermativa, che ha suscitato in me sorpresa e al tempo stesso entusiasmo, prospettandosi la possibilità di partecipare a quell’incontro in modo attivo.
Il giorno dell’evento, però, dopo essermi registrato all’ingresso, ho chiesto conferma della sottotitolazione e lì, con mio immenso stupore, mi è stato risposto che non solo non ci sarebbero stati i sottotitoli, ma che sarebbe stato proiettato sullo schermo un quadratino dove vedere un interprete del cosiddetto linguaggio dei segni. In tal modo lo staff organizzativo – pur gentilissimo e molto cordiale – mi ha rappresentato la soluzione, quella del linguaggio dei segni, come un fatto scontato, se non addirittura – sottolineerei io stesso – come una soluzione assolutamente normale per una persona sorda.
Ecco che si realizza, purtroppo, il famoso “messaggio stereotipato” che mi sono permesso recentemente di denunciare, come un rischio sempre più crescente, in audizione alla Camera (e in precedenza al Senato), in merito alla Proposta di Legge AC 4679 [“Legge quadro sui diritti di cittadinanza delle persone sorde, con disabilità uditiva in genere e sordo cieche”, approvata al Senato e attualmente in discussione alla Camera, N.d.R.]: dopo anni passati a superare le difficoltà di comunicazione grazie alla scuola e ai percorsi di riabilitazione/abilitazione e quindi a imparare a parlare e ad ascoltare (sì, perché in Italia esistono tante, tantissime persone sorde che si ostinano a parlare, a sentire e, aggiungo, persino a diventare musicisti), di fronte alle difficoltà residue come quelle del sottoscritto, che purtroppo ancora non è in grado di comprendere del tutto i discorsi in convegni e altre situazioni, invece di ricorrere a soluzioni coerenti e persino universali (i sottotitoli sono utilissimi per tutte le persone, non solo per quelle sorde), si ricorre purtroppo allo stereotipo del “sordo che segna” e dunque si ritorna a praticare quell’“esclusione” ovvero quella “classificazione” delle disabilità, che speravamo tanto di avere superato anche a livello normativo, alla quale dare soluzioni/risposte standardizzate.
Ovviamente l’evento l’ho seguito tra innumerevoli difficoltà, comprendendo che per i giovani del Sud si è aperta una straordinaria opportunità di investire sul proprio futuro e su quello del nostro meraviglioso territorio che è il Mezzogiorno, ma ho capito anche che è stata sottovalutata la possibilità che tra i giovani ci fossero quelli con disabilità e mi riferisco al fatto, ad esempio, che la sala principale era inaccessibile anche alle persone che si muovono in carrozzina, ovvero a quelle che non riescono a superare semplici scalini (mentre sembra fosse accessibile la seconda sala dotata di schermo, dove veniva proiettato l’evento).
La somma delle due riflessioni che ho denunciato, quindi, quella di un evento inaccessibile alle persone sorde come il sottoscritto e di un luogo non fruibile liberamente dalle persone con difficoltà nel muoversi (concetto che va al di là dell’accessibilità), è gravissima, perché ha creato una doppia situazione inaccettabile: quella di avere impedito a tanti giovani, e non solo, con disabilità di essere partecipi a un incontro importante e quella di avere letteralmente mortificato le ambizioni di autonomia e indipendenza degli stessi giovani con disabilità, trasmettendo messaggi stereotipati anche ai nuovi giovani che ci cimenteranno in queste opportunità del futuro.
Per questa ragione è auspicabile che questo tema delle opportunità per i giovani del Sud venga al più presto divulgato tra i giovani con disabilità alle prese con i loro percorsi di autonomia e indipendenza, ma anche qui credo serva un’avvertenza: non cadiamo nell’errore di fare eventi “ad hoc” solo per disabili. La scuola italiana, infatti, ce l’ha insegnato: l’inclusione diventa essa stessa opportunità per tutti, se tutti stanno insieme.