A legislatura ufficialmente sciolta, è ormai tempo di bilanci. Cerchiamo dunque di analizzare in modo imparziale e scevro da posizioni preconcette di schieramento gli sforzi del Parlamento e dei vari Governi in questi ultimi cinque anni, per garantire alle persone con disabilità del nostro Paese e alle loro famiglie la speranza di una più proficua inclusione.
La Delega sull’Inclusione della Buona Scuola, la Legge sull’autismo, la cosiddetta norma sul “Dopo di Noi”, la Riforma del Terzo Settore, la Legge Delega sulla povertà con il Reddito d’Inclusione [rispettivamente Decreto Legislativo 66/17; Legge 134/15; Legge 112/16; Legge 106/16; Legge 33/17, N.d.R.] e i fondi sulla non autosufficienza e per i caregiver familiari hanno rappresentato certamente importanti tentativi della nostra classe politica di dare risposte ai quattro milioni di persone con disabilità italiane che, se non adeguatamente sostenute, rischiano quotidianamente l’emarginazione e l’esclusione sociale.
Si può quindi sintetizzare così, l’operato del nostro “vecchio” Parlamento e degli ultimi tre Governi: alcuni provvedimenti senz’altro ragguardevoli, ma le cui risorse e i cui stanziamenti si sono spesso rivelati assolutamente insufficienti a tutelare realmente giorno dopo giorno i diritti fondamentali delle persone con disabilità.
Avere saputo poi, come ha dimostrato il mese scorso l’Eurostat, che siamo il Paese europeo con più poveri non ci fa stare certo sereni (gli italiani che vivono questa condizione sono ormai più di 10 milioni): si tratta di cittadini che non possono avere accesso a beni e servizi essenziali, e tra questi, va ricordato, ci sono anche numerose persone con disabilità e bambini con disabilità, “i più vulnerabili tra i vulnerabili”.
Di fronte a questa situazione e alla crescente disoccupazione delle persone con disabilità, i nostri decisori politici, nell’ultimo quinquennio, sono stati sovente troppo “tiepidi”, varando provvedimenti sicuramente “coraggiosi”, come quelli di cui sopra, che però non sono stati opportunamente finanziati e, dunque, si sono rivelati nulli nei fatti.
Al riguardo, basterà rammentare che, ad esempio, secondo recenti stime, il Reddito d’Inclusione riguarderà solo 1,8 milioni di persone, per non parlare dei modesti finanziamenti stanziati per il “Dopo di Noi”, delle deboli e talvolta contraddittorie scelte parlamentari sul fondo per la non autosufficienza, con risorse spesso tagliate e poi riconcesse in modo insoddisfacente e, infine, con i soli 20 milioni di euro (su un budget complessivo di 20 miliardi), destinati ai caregiver familiari dall’ultima Legge di Stabilità.
L’unica cosa che risalta ai nostri occhi in modo inequivocabile (persino a quelli di chi scrive [l’Autore è persona con disabilità visiva, N.d.R.]) è che ogniqualvolta noi abbiamo rivendicato maggiore rispetto per i nostri diritti inviolabili, la nostra classe dirigente, almeno in tempi recenti, ci ha sempre risposto con il “mantra” dell’austerity e del vincolo di bilancio.
Ma un Paese che antepone il contenimento della spesa alla tutela dei diritti primari dei suoi cittadini è un Paese malato, che non si può dire “civile”.
Per la prossima legislatura, quindi, occorrerà inevitabilmente un cambio di passo, con un Parlamento che prometta meno e faccia più e vera inclusione, avvicinando molto di più il mondo della scuola e del lavoro alle persone con disabilità, perché, come diceva Nelson Mandela, «l’istruzione e la formazione sono le armi più potenti per cambiare il mondo».
Pertanto, in vista delle ormai imminenti prossime decisive tornate elettorali (nazionale e regionali) che interesseranno il nostro Paese, l’auspicio è che la classe dirigente che verrà si riappropri del primato della politica rispetto a quello dell’economia, rimettendo al centro della scena le persone con disabilità con i loro diritti fondamentali all’autodeterminazione e alla cittadinanza attiva. Infatti, un Paese civile è soltanto quello che riesce a rendere i cittadini più deboli “protagonisti” della collettività e, perché no, anche della stessa vita politica, candidando magari tra i vari partiti cittadini con disabilità, come sancito anche dall’articolo 29 della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità.
Solo così facendo, riusciremo, anche in Italia, a fare veramente mainstreaming, rendendo cioè la disabilità finalmente “trasversale” a tutte le politiche pubbliche e a trasformare il leitmotiv del Nulla su di Noi senza di Noi della Convenzione ONU da mero slogan a prassi operativa.