Chi scrive ha dovuto personalmente sperimentare come anche le donne con disabilità siano spesso oggetto di mobbing nel lavoro, e di come le stesse “tutele” garantite dalla Legge Quadro 104/92 vengano ben poco tenute in considerazione, ad esempio nel Contratto della Scuola.
Quest’ultimo, infatti, prevede la tutela del docente con invalidità, nel caso in cui ci siano perdenti posto nella scuola dove presta servizio, evitandogli di finire a ricoprire un posto con cattedra orario ricoperta anche fuori dal Comune di residenza. E tuttavia quella tutela sparisce, se la cattedra è composta da quattro o cinque scuole dello stesso Comune, poste anche a decine di chilometri tra loro, con conseguente aumento dell’onere lavorativo e aggravio delle condizioni di salute.
Senza poi parlare dell’anticipo sull’età pensionabile che viene riconosciuto solo a partire dal 74 per cento di invalidità, come se una lavoratrice con invalidità al 73 o al 67 per cento godesse di ottima salute e potesse andare in pensione a 67 anni, mentre nel resto d’Europa le lavoratrici sane vanno in pensione a 62-63 anni! E questo purché l’importo dell’eventuale pensione non superi i 1.500 euro lordi, infischiandosene dei contributi versati e dei diritti acquisiti.
Alle lavoratrici con invalidità, dunque, viene offerta questa scelta: «O lavorate in condizioni disastrose fino a 67 e passa anni, sperando di arrivarci in vita, o andate due o tre anni prima in pensione, con una pensione, in cui rinunciate ai vostri diritti acquisiti e provate a sopravvivere rinunciando ad acquistare tutti i farmaci e ad effettuare tutte le visite e i controlli di cui necessitate!».