Ben 50.000 firme verranno consegnate nella mattinata del 22 gennaio alla Regione Lazio: sono quelle dei familiari e dei rappresentanti di Associazioni e Cooperative che hanno sottoscritto la petizione lanciata alla fine di dicembre da Elena Improta, per chiedere alla Regione stessa che venga garantita l’assistenza diurna negata al figlio Mario, ventottenne con grave disabilità, allontanato nel settembre scorso dal Centro Diurno nel quale veniva seguito.
Sin dal lancio della petizione, inoltre, Improta ha avviato uno sciopero della fame di protesta, con brevi periodi di sospensione per motivi di salute, oltre a rivolgersi a tutte le Istituzioni coinvolte e a promuovere idee e progetti concreti per garantire una vita dignitosa al figlio e a tutti coloro che sono nelle sue stesse condizioni. «Considerate le difficoltà che vivono costantemente, nel silenzio, i ragazzi come Mario e le loro famiglie, il mio sciopero della fame – ha dichiarato – non è nulla. Voglio risposte reali, non mi bastano più le promesse. Il diritto all’assistenza dev’essere garantito, mentre c’è chi ha rinunciato ormai a rivendicarlo. È anche per loro che protesto».
Per Mario, va detto, l’assistenza domiciliare indiretta è già attiva per quattro ore al giorno, ma per lui c’è anche il diritto di stare – dopo il percorso scolastico e ben sette anni di lista di attesa – in un Centro Diurno, come da articolo 26 della Legge 833/78 (quella che istituì il Servizio Sanitario Nazionale). Nel novembre del 2015, la famiglia era riuscita a farlo inserire dalla ASL presso il Centro Don Orione di Roma alla Camilluccia, ma il periodo di permanenza è stato breve.
«Il 26 settembre dello scorso anno – spiega la madre – lo staff del Don Orione ci ha comunicato che per loro il progetto – consistente in tre ore e mezzo al giorno, dal lunedì al venerdì – si concludeva, in quanto era troppo complicato assistere Mario, giocarci: non trovavano più operatori disponibili a stare con lui. Nonostante quindi sia la Regione a supportare finanziariamente questi Centri per persone con disabilità, lo hanno allontanato, dicendoci “tenetevelo a casa”. La ASL non ha battuto ciglio e adesso stiamo lottando perché gli venga riconosciuto nuovamente il diritto a quelle quattro scarse di assistenza diurna in un nuovo Centro della Regione o in uno spazio socio educativo diurno del Comune/Municipio».
Alle Istituzioni, per altro, Improta suggerisce anche possibili soluzioni. «Ho assemblato – spiega – un’ipotesi di progetto per la realizzazione di un Centro Diurno Socio-Educativo nel Municipio 2 di Roma, aperto ai giovani adulti con disabilità non inseriti in Centri Diurni Sanitari ex articolo 26 della Legge 833/78.Un’ipotesi eventualmente da replicare anche su altri territori del Comune di Roma. Ho preso contatti con le Cooperative del Municipio 2 per chiedere loro collaborazione e condivisione per trovare soluzioni sostenibili. Intanto, però, mentre aspettiamo anche una risposta dal Centro Don Guanella, Mario continua ad essere agli “arresti domiciliari”, assistito da operatori che la famiglia suo malgrado è obbligata a pagare! Dopo essere stato cacciato dal Centro, ha perso sia il diritto alla cura e alla socializzazione, sia quello a un sostegno economico. E in queste condizioni ci sono decine di ragazze e ragazzi su ogni territorio del Comune di Roma e della Regione Lazio».
In attesa, dunque, della consegna delle firme alla Regione Lazio prevista per il 22 gennaio, con un cospicuo gruppo di persone che partiranno dalla casa stessa di Elena Improta, quest’ultima continua la sua protesta non violenta e dice: «Per Mario forse non cambierà nulla, ma spero possa finalmente essere modificato il Decreto sull’accreditamento dei Centri Diurni ex articolo 26, in modo tale che venga restituito potere alle ASL circa gli inserimenti dei nostri ragazzi ed eventuali sospensioni di progetti riabilitativi. Soprattutto spero che in futuro nascano a Roma queste chimere: i Centri Diurni di socializzazione per giovani adulti con disabilità, almeno uno per Municipio! Luoghi dove intraprendere percorsi socio-educativi post diploma “dedicati”. Il mio sogno, comune a quello di tante altre famiglie, è che si creino degli spazi nei quali i nostri figli possano continuare a sviluppare le loro autonomie e a costruire il loro futuro anche occupazionale, andando insomma oltre il concetto di assistenza socio-sanitaria che vede nei ragazzi come Mario solo dei “pazienti da curare”. L’obiettivo da costruire insieme è considerarli uomini e donne da sostenere e supportare in progetti che prevedano pure laboratori di arte, di musica, di agricoltura sociale, di gestione dell’affettività e della sessualità, senza trascurare l’esigenza di divertirsi. E per questo bisogna lavorare, anche in collaborazione con i Centri ex articolo 26, per prevedere àmbiti allargati di intervento presso scuole, fattorie sociali e altre realtà territoriali aperte a una vera e dignitosa inclusione». (S.B.)
Per ulteriori informazioni e approfondimenti: Valeria Scafetta (valeriascafetta@yahoo.it).