In una nota di «Lombardia Sociale.it» si legge che «il confronto pubblico sul welfare lombardo tra i candidati alla Presidenza della Regione Lombardia Fontana, Gori, Rosati e Violi, organizzato dai promotori di LombardiaSociale.it in collaborazione con il Forum del Terzo Settore della Lombardia – in programma il prossimo 31 gennaio – non sarà realizzato. Contrariamente a quanto inizialmente comunicato, il candidato Fontana ha fatto sapere di non assicurare la sua presenza. Pertanto, volendo rispettare la garanzia di pluralismo che connota il nostro lavoro, non ci è possibile procedere allo svolgimento del confronto».
Sfuma, quindi, il confronto fra i candidati alla Presidenza della Regione Lombardia sui temi delle politiche sociali. Un’occasione persa per occuparsi dei problemi dei cittadini.
Ciò ci amareggia e ci inquieta. Ci amareggia perché l’appuntamento teneva insieme la determinazione di tanti operatori e volontari di rispondere ai problemi della persona e delle comunità con la competente lettura del sistema attuale e dell’efficacia delle ultime innovazioni normative, con le proposte di chi si candida a governare la nostra Regione nei prossimi anni. Era una preziosa opportunità politica, dove “politica” significa occuparsi dei problemi della gente.
Non solo, è sfumata la possibilità di vedere i candidati parlare dei costi delle Residenze Sanitarie per Anziani, dell’organizzazione dei servizi per le persone con disabilità, del funzionamento dei servizi in favore dei minori o di quelli a sostegno alle persone alle prese con problemi di dipendenza o di salute mentale, di interrogarsi su quale modello di accoglienza si possa proporre per le persone straniere richiedenti asilo che vivono in Lombardia.
Corriamo anche il rischio che in questa campagna elettorale regionale ci si occupi di politiche sociali solo in occasione di qualche brutto episodio di cronaca o per celebrare l’assegno consegnato a qualcuno in difficoltà o per commentare velocemente l’ennesima ricerca che ci dice che i bisogni aumentano e le risorse pubbliche per assistere i bisognosi sono finite.
Peggio ancora che non ce ne si occupi del tutto. E questo ci inquieta.
Le politiche sociali riguardano direttamente o indirettamente – praticamente – tutte le famiglie lombarde. Servizi, progetti e iniziative in cui sono coinvolti migliaia di operatori e migliaia di volontari, attività che offrono sostegni dignitosi e rispettosi delle persone e che cercano di rendere le nostre città e i nostri paesi più attraenti e inclusivi.
Persone, operatori e volontari anche quest’anno, come cinque anni fa, sarebbero accorsi in gran numero e da tutta la Regione per essere parte di un momento in cui la democrazia avrebbe potuto offrire il suo volto migliore.
Perché occuparsi di sociale significa organizzare le energie delle comunità della Lombardia, integrare le risorse pubbliche di fonte locale, regionale, nazionale, comunitaria, con quelle private dei cittadini, delle imprese, degli enti filantropici. Significa favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini che chiedono di prendersi cura e di vivere la comunità. Significa mostrare di avere un’idea precisa di quale società lombarda si immagina e di quali sono i programmi e le azioni che si vogliono attuare per realizzarla. In una parola significa fare politica.
E allora sì! Siamo amareggiati e inquieti. Perché constatiamo che questi temi non vengono ritenuti sufficientemente interessanti, così come probabilmente non lo sono le organizzazioni e le migliaia di persone che da sempre si occupano di sociale nella nostra Regione e che, come altri cittadini e cittadine, il 4 marzo andranno a votare.