Non è facile dire come ci si sente quando si sale su un palco, soprattutto se è la prima volta che si è da soli e con un testo proprio…
Come avevo già raccontato in precedenza su queste stesse pagine, mi è capitato il 3 dicembre scorso a Roma, in occasione della Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità, durante #unPalcopertutti, manifestazione promossa dal Comune di Roma, in collaborazione con il Teatro di Roma e l’Associazione Amici Piero Gabrielli.
In realtà proprio sola non ero, visto che dietro le quinte mi aspettava Giovanni [il figlio di Rosa Mauro, giovane con disturbo dello spettro autistico, N.d.R.], seduto con il suo telefonino ancora acceso sulla sua musica preferita.
Mi ero portata alcuni cambi rapidi di “personaggi” e non voglio entrare nel merito della performance, che era una specie di rivisitazione in chiave ironica di una Giulietta e di un Romeo sulle quattro ruote; ma siccome voglio “rivendermela”, qui non la racconto. Diciamo che è piaciuta, la gente si è divertita e io con loro.
A freddo, e notando anche gli altri gruppi impegnati nella kermesse, credo che alcune cose di quella giornata potrebbero essere ripetute e, se possibile, anche migliorate. Vediamo come.
Le compagnie
Io avevo creato il nome della mia compagnia, “ridomanontroppo”, ma le altre non avevano nome. Erano legate alle Associazioni che le avevano formate. Ma se i protagonisti sono i ragazzi, i bambini, gli uomini e le donne che fanno teatro, è la compagnia a dover contare. La prossima volta, che ne dite di dargliene uno, fornendo ad esso un’identità autonoma? In questo modo, magari si presenta la compagnia e quello che vuole rappresentare in quanto teatro, e non solo quello che l’Associazione vuole rappresentare.
I soggetti
Non dovrebbero rappresentare necessariamente la realtà disabile, ma dovrebbero rappresentare la compagnia, dovrebbe essere una scelta loro. A volte i testi sembravano più subìti che accettati, ma in teatro gli attori devono sentire il pezzo… E se si lasciasse perdere il classico e si permettesse una maggiore sinergia tra il testo e chi lo recita?
Una giornata sola
È un po’ poco. Se c’è infatti una cosa che ho notato in quel 3 dicembre, è stata la gioia di tutti di trovarsi in una kermesse comune, di poter scambiare esperienze e emozioni. Perché farlo una volta sola all’anno? Le compagnie non fanno solo uno spettacolo e visto che il Teatro di Roma ha un laboratorio di teatro integrato, potrebbe ospitare di più le compagnie “sorelle”, magari una ogni due o tre mesi, in modo che potessero rappresentare uno spettacolo per intero, non solo dieci minuti.
L’interazione con i “professionisti”
Sarebbe meraviglioso, e credo molto utile, aiutare queste compagnie anche facendole interagire con compagnie cosiddette professionali. Questo credo valga anche in altri settori, ma in particolare vale per il teatro che, mi spiace, spesso non include davvero attori con disabilità. Insegnare agli attori di teatro a considerare anche noi come professionisti [l’Autrice di questo testo è una persona con disabilità visiva e motoria, N.d.R.], vorrebbe dire finalmente rappresentarci come soggetti del teatro come vita, e credo sia un passaggio necessario.
In conclusione, finché una giornata rimane una giornata, diventa solo uno stupendo ricordo nell’animo dei protagonisti. Se invece diventa qualcosa di più, un seme per qualcosa di nuovo, può davvero rivoluzionare il mondo. Pensate a quando le prime donne hanno cominciato a recitare e a cantare nei teatri; si partì dalle case nobiliari, ma ora fare le attrici non è più considerato uno scandalo… Non è forse l’ora di dare alle persone con disabilità movimento e voce anche sul palco?