II mio bambino ha 2 anni e non parla, cosa devo fare? Questa è una domanda che molti genitori si pongono quando i loro bambini nel secondo e terzo anno di vita non parlano ancora o dicono poche parole. E del resto, il ritardo di comparsa del linguaggio rappresenta uno dei più frequenti motivi di consultazione clinica nei primi anni di vita, essendo un fenomeno che si manifesta in circa il 10-15% dei bambini di questa età.
Anche se poi in molti casi il ritardo viene superato spontaneamente e senza difficoltà, non sempre è giustificato un atteggiamento di attesa, in quanto in età precoce il ritardo del linguaggio può sottendere problemi evolutivi diversi, quali ad esempio disturbi emotivi, cognitivi e comunicativo-relazionali. Se quindi un bambino tra i 2 e i 3 anni parla poco o male, è consigliabile consultare uno specialista dello sviluppo, quale il neuropsichiatra infantile, per cercare di individuare i motivi alla base del ritardo.
Negli ultimi vent’anni la ricerca ha messo in evidenza che anche i bambini che presentano come unico problema un ritardo del linguaggio, i cosiddetti “parlatori tardivi” (late talkers, secondo la letteratura anglosassone), costituiscono una popolazione a rischio per difficoltà di linguaggio, disordini emozionali e successivi problemi di apprendimento.
Durante il convegno intitolato Inquadramento clinico e percorsi di trattamento nel bambino con ritardo del linguaggio nei primi tre anni di vita – organizzato in veste di responsabili scientifiche da Anna Maria Chilosi e Renata Salvadorini, rispettivamente neuropsichiatra infantile e logopedista all’IRCCS Fondazione Stella Maris di Calambrone (Pisa), per le giornate di domani, venerdì 9 e sabato 10 febbraio, a Pisa – ci si occuperà di delineare le prassi migliori per identificare e intervenire in questi casi.
Interverranno per l’occasione i massimi esperti nazionali del settore, cui spetterà il compito di inquadrare da un punto di vista multidisciplinare il problema della diagnosi precoce dei disturbi del linguaggio e della comunicazione e dell’eventuale presa in carico riabilitativa. Problemi tanto complessi, infatti, non possono essere affrontati da un unico specialista, soprattutto in un’età in cui i processi di sviluppo sono strettamente legati e con alto potenziale di modificabilità, grazie ai meccanismi della plasticità cerebrale, che appare sfruttabile appieno per evitare sequele successive. (R.R.)
A questo link è disponibile il programma completo. Per ulteriori informazioni e approfondimenti: Roberta Rezoalli (r.rezoalli@gmail.com).