Fabio Caramel, calciatore venticinquenne del Football Club Spinea 1966, in provincia di Venezia, ha scelto l’11 febbraio scorso di non scendere in campo con la propria squadra in uno dei match più importanti della stagione, contro la favorita capolista Arcella, perché quello stesso giorno si trovava all’Ospedale Borgo Roma di Verona, per donare il midollo osseo a una donna con la leucemia in uno stadio molto avanzato. Fortunatamente tutto è andato come previsto.
Secondo quanto stabilito dal protocollo, per questioni di privacy i donatori non possono conoscere l’identità del ricevente; l’unica cosa che era dato sapere a Fabio era il grado di compatibilità con la ricevente, che si aggirava intorno all’85%. «Mi auguro che tutto vada a buon fine – aveva dichiarato egli stesso ai microfoni del TG5 -. Per me sarebbe una delle più belle soddisfazioni della mia vita».
Spesso accade che quando gesti di questo tipo balzano alla ribalta, i media dipingano colui che li ha compiuti come “un eroe”, ma Fabio non si ritiene tale, dichiarando di aver semplicemente seguito la sua volontà e il suo senso civico.
Non è stato della sua stessa opinione il presidente della Regione Veneto Luca Zaia, secondo il quale «Fabio Caramel ha segnato un gol meraviglioso che nessun rallenty può valorizzare, perché non è entrato in una porta, ma nel cuore. Non so se Fabio abbia una squadra di calcio del cuore né quale sia, ma se ce l’ha, mi piacerebbe vederlo presto ospite in tribuna d’onore a ricevere la standing ovation di tutto uno stadio. Come dopo un gol di un fuoriclasse, anzi di più».
Nonostante le parole del Presidente del Veneto rasentino l’esaltazione di un fenomeno raro, fa riflettere il fatto che, a differenza di Fabio, solitamente fa notizia l’ennesima bislacca pazzia compiuta da qualche calciatore del suo stesso calibro o anche da campioni di categoria superiore.
Oltretutto Fabio non solo si dedica attivamente al volontariato, ma ha anche fondato un’associazione non profit a favore di persone con disabilità.
Detto questo, non è certo la prima volta che vengono raccontate storie dove alcuni sportivi vengono ricordati non solo per via dei loro successi professionali, ma per essersi fatti portavoce di campagne di sensibilizzazione particolari, oppure perché anch’essi sono stati coinvolti in tali vicende.
Come non ricordare, ad esempio, Jermain Defoe – anch’egli calciatore di un’importante squadra inglese – il quale, dopo avere conosciuto Bradley Lowery, un bambino colpito da un tumore inguaribile, aveva deciso di stargli accanto fino alla fine.
La morte del piccolo Bradley è avvenuta il 6 agosto dello scorso anno. Si è spento a casa sua, circondato da mamma e papà e da tutti coloro che gli volevano bene, ma, soprattutto, non poteva mancare il suo inseparabile grande amico Jermain.
Sicuramente storie come quella di Fabio Caramel e di Jermain Defoe sono di esempio per tutti, poiché non è il numero dei trofei guadagnati che fa di un atleta un vero campione, ma lo è colui che aiuta spontaneamente il prossimo, senza ricorrere alla retorica e alla beatificazione del gesto compiuto.