Non si sa bene quando sia nato il bullismo, forse c’è sempre stato, ma solo negli ultimi anni si è reso visibile come problema sociale, soprattutto grazie ai mass-media che l’hanno portato a conoscenza del grande pubblico.
La parola bullismo deriva dal verbo inglese to bull, che significa usare prepotenza e infatti si tratta di una forma di prepotenza da parte di uno o più soggetti nei confronti di altri individui più deboli.
Ci sono in generale due tipi di bullismo: quello diretto, fatto di violenze fisiche e psicologiche, quello indiretto, che si manifesta per lo più a livello psicologico, con insinuazioni, maldicenze ed esclusione dal gruppo.
La dinamica è nota. Si prende di mira un soggetto, sicuramente il più fragile del gruppo, e si comincia a vessarlo con percosse, calci, insulti, minacce, per giorni, mesi e anche anni. La vittima può reagire o subire passivamente, nel qual caso dovrà sopportare le angherie. Le conseguenze di tutto ciò possono variare da persona a persona e portare addirittura al suicidio.
Gli ambienti sociali dove si sviluppa maggiormente sono la scuola, le caserme e anche i posti di lavoro. Un nuovo tipo di bullismo è il cyberbullismo, sviluppatosi in questi ultimi anni e che riguarda principalmente il mondo dei social network e i giovanissimi. È sostanzialmente una forma di prepotenza psicologica fatta di ricatti, insulti, intimidazioni, foto rubate, tutto costruito tramite internet, le piattaforme chat e i telefonini.
Ovviamente ogni forma di prevaricazione è condannabile, ma ce n’è una che ancor meno può essere ammessa o giustificata ed è quella sulle persone con disabilità, fisica, intellettiva o psichica che sia, perché esse sono doppiamente penalizzate, in quanto incapaci di difendersi verbalmente e/o fisicamente e impossibilitate a reagire per motivi oggettivi. E prendersela con chi è più vulnerabile è sin troppo facile, tanto più se ciò viene ammesso e supportato da altri membri del gruppo, che diventano a propria volta complici, quando non denunciano il fatto a chi di dovere. Denunciare, però, vuol dire esporsi a rischi di ritorsioni e non tutti sono disposti a rischiare.
Purtroppo molto, troppo spesso, si tende a minimizzare, a sottovalutare un episodio di violenza e a prendere sottogamba le reazioni delle vittime, riducendo a “ragazzata” un’azione lesiva che può danneggiare anche permanentemente chi ne è colpito. Quando invece si assiste o si subisce una scena di bullismo è essenziale non minimizzare, né lasciar correre, ma avvertire le autorità preposte e competenti, per risolvere la questione in modo risolutivo, adottando metodi severi, ma non coercitivi, e cercando di istituire dei percorsi formativi di supporto psicologico sia per le vittime, sia per chi è autore di queste azioni esecrabili.
Vari studi sono stati svolti, altrettante teorie sono state formulate, ma nulla è inconfutabile. Si crede comunemente che il bullo provenga da un ambiente povero, degradato, violento, che abbia subìto a sua volta percosse e angherie, che sia un insicuro e un narcisista. Non è proprio così, perché anche ragazzi benestanti, senza particolari problematiche, diventano bulli, e quindi, evidentemente, esiste un malessere interiore o una tendenza caratteriale che porta a questi eccessi di violenza e protagonismo.
La lotta contro il bullismo riguarda tutti, perché coinvolge i nostri figli e nipoti. Nessuno, dunque, si senta escluso, e finché ci sarà questo fenomeno, vorrà dire che non si sarà fatto abbastanza e che avremo costruito una società malata.