Preferiamo non commentare la seguente lettera inviata all’ANGSA Lazio (Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici) dai genitori di un ragazzo nello spettro autistico. Lasciamo che a farlo sia la stessa ANGSA Lazio e che siano i Lettori a giudicare da sé.
Da parte nostra ci limitiamo semplicemente a definire quanto meno grottesca – se non fosse purtroppo tristemente reale – la vicenda segnalata.
Di seguito vi è la lettera di due genitori che danno voce ad un ragazzo. Un ragazzo nello spettro autistico, con una compromissione intellettiva e del linguaggio tale da non permettergli di “denunciare” in prima persona la “qualità” di una parte della scuola inclusiva italiana.
Un insegnante che sceglie (e qui non voglio sindacarne i motivi) di stare sul sostegno sa bene a cosa va incontro, nel bene e nel male: affiancare una persona con una disabilità può essere un’esperienza estremamente arricchente, ma anche molto impegnativa e che richiede specializzazione e formazione specifica. Quella specializzazione e formazione specifica fatta sul singolo, perché solo conoscendo lo spettro nella sua interezza e l’autismo della singola persona si possono gestire situazioni che noi genitori gestiamo tutti i giorni. Come? Attraverso appunto un percorso formativo serio, dando l’opportunità ai professionisti (e anche alla famiglia) di contribuirvi.
La nostra Associazione insiste da sempre sull’importanza imprescindibile della specializzazione e del training on the job [“formazione sul campo”, N.d.R.]. Quando parliamo di insegnanti specializzati non è perché vogliamo la qualifica ad ogni costo. Vogliamo solo che i nostri ragazzi possano avere vicino insegnanti che abbiano studiato per questo. Ritrovarsi invece, talora, insegnanti preparati sì nella loro materia (penso a bravi insegnanti di Educazione Fisica o di Educazione Artistica per esempio), ma che non sanno assolutamente cosa sia l’autismo, è deleterio per gli studenti, ma anche svilente per loro.
Se in casa abbiamo un problema elettrico non chiameremo mai un idraulico!
Buona triste lettura.
L’ANGSA Lazio.
Il ragazzo della foto qui pubblicata si chiama Claudio ed è nostro figlio. La foto segnaletica è ovviamente finta, mentre è vera la denunciache è stata presentata contro di lui dal suo insegnante di sostegno (uno dei tre che gli hanno assegnato).
Quale reato ha commesso? Il peggiore in assoluto, è stato perfino colto in flagranza: è colpevole di autismo!
Molta è la rabbia che proviamo in questi giorni e tante sono le cose che vorremmo scrivere su questo insegnante, ma proveremo a limitarci ai fatti…
Claudio è un ragazzo di 19 anni e ha frequentato il secondo anno in un Istituto Superiore di una scuola in provincia di Roma. Per noi di famiglia Claudio è un “bambuomo”, un ragazzone di 100 chili abbondanti, con le esigenze, il linguaggio, la capacità comunicativa e il bisogno di aiuto di un bambino: un pacioccone che, in presenza di situazioni per lui “stressanti”, potrebbe avere importanti problemi comportamentali.
Volendo essere più precisi e utilizzando la descrizione che fanno i medici di Claudio, riportiamo la seguente definizione: «Claudio ha una diagnosi di Disturbo dello Spettro Autistico (F.84), Epilessia (G40) e Disabilità Intellettiva Grave (F72). Il ragazzo presenta un quadro di Handicap Grave con il riconoscimento della legge 104/92 art.3 comma 3. E’ in trattamento farmacologico per le problematiche comportamentali».
Dallo scorso anno, abbiamo deciso in sintonia con il Dirigente Scolastico che Claudio avrebbe frequentato la scuola per 20 ore a settimana. A Claudio sono state assegnate 18 ore di sostegno (divise su tre insegnanti) e 20 ore di assistenza specialistica: di fatto ha sempre avuto la copresenza.
Tra alti e bassi, riteniamo soddisfacente il lavoro svolto in questi due anni dall’équipe scolastica e siamo probabilmente tra i pochi che hanno avuto la fortuna (?) della continuità didattica.
Il 19 aprile scorso, Claudio era particolarmente agitato. Nostro figlio, l’insegnante di sostegno e un assistente specialistico erano nell’aula dedicata al lavoro individuale. L’insegnante, per provare a tranquillizzarlo, gli ha proposto l’uso del computer, pur sapendo che le casse audio non funzionavano correttamente. Questo “malfunzionamento” ha aumentato il grado di frustrazione e di agitazione di Claudio. Per cercare di sistemare l’attacco delle casse, l’insegnante si è chinato davanti a Claudio che, a quel punto, ha colpito con un pugno il professore. Questo è avvenuto mentre l’assistente specialistico era in bagno, il quale quindi non ha assistito alla scena. L’accaduto è stato riferito dall’insegnante, e solo da lui, poiché Claudio non è in grado di raccontare la sua versione dei fatti.
Il professore si è fatto accompagnare al vicino Pronto Soccorso. Nel frattempo la scuola ci ha chiamato, chiedendo di andare a riprendere Claudio, in quanto l’insegnante era andato in ospedale per via del pugno ricevuto.
Siamo andati subito a scuola e abbiamo trovato Claudio tranquillo al proprio banco, sempre nell’aula adibita al lavoro individuale (quindi non insieme agli altri compagni e insegnanti), intento a lavorare sui compiti a lui assegnati insieme all’assistente specialistico.
Al Pronto Soccorso, il medico di turno ha dato al professore un giorno di prognosi: non si evidenziavano ecchimosi, traumi o danni sulla parte colpita ma il “paziente” lamentava giramenti di testa.
In realtà il professore è tornato a scuola quando ormai l’anno scolastico era quasi terminato. Non ha praticamente più visto Claudio e non ha risposto alle nostre richieste per sapere come stesse. Durante questo periodo ha presentato periodicamente dei certificati medici che hanno allungato il periodo di malattia.
La storia sembrava finita lì.
Il 26 giugno, invece, siamo stati convocati dalla Centrale dei Carabinieri del paese dove viviamo: un paio di giorni prima, il professore aveva sporto denuncia contro Claudio per aggressione. La denuncia l’aveva fatta presso una caserma dei Carabinieri delle Marche ed era stata trasmessa alla Centrale del nostro paese.
Poco più di quattro mesi sono passati da quel presunto pugno e abbiamo scoperto che durante questo periodo l’insegnante non ha ragionato sugli antecedenti, non ha cercato di capire cosa avesse provocato quella reazione in mio figlio, non ha provato a comprendere come funziona la mente autistica, non ha messo in discussione il suo operato, non ha in poche parole compreso i propri errori, ma ha scelto di addossare “la colpa” a chi non ha capacità di discernimento.
Un insegnante, soprattutto quando decide di occuparsi del sostegno, dovrebbe mettere in conto che, purtroppo, questo lavoro serba dei rischi che solo un’adeguata formazione e programmazione possono ridurre. Questo insegnante invece, paragonando Claudio a un bullo dei nostri tempi o ad un delinquente maleducato poco incline al rispetto delle regole, si è recato presso una Stazione dei Carabinieri e ha fatto regolare denuncia!
In tutta questa incredibile storia, apprezziamo la solidarietà (unita all’incredulità) manifestata dagli altri insegnanti di sostegno e dagli assistenti specialistici di Claudio.
Adesso non ci resta che sperare che la Procura, alla quale i Carabinieri hanno inoltrato la denuncia e la documentazione che abbiamo dovuto presentare per dimostrare la condizione di nostro figlio, archivi rapidamente il caso e non dia luogo a procedere…
…anche se ci incuriosirebbe l’idea di vedere nostro figlio al banco degli imputati, incapace perfino di rispondere alla più semplice e classica delle richieste: «Giuri di dire la verità, tutta la verità e nient’altro che la verità»…