Agricoltura sociale: un laboratorio di inclusione per le persone con disabilità: è questo il titolo di una recente pubblicazione dell’INAPP (Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche) e del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, curata dalla ricercatrice Daniela Pavoncello. Essa raccoglie i risultati della ricerca “Farming for Health”: l’Agricoltura Sociale come opportunità per l’inclusione sociale delle persone con disabilità, riguardante appunto l’agricoltura sociale, con un’attenzione particolare rivolta alle persone con disabilità.
Tale importante pubblicazione – che verrà presentata il 30 ottobre prossimo, nel corso di un convegno in programma alla Sala Auditorium di Roma – è disponibile integralmente a questo link, mentre qui di seguito ne scrive Silvia Cutrera, vicepresidente nazionale della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).
Le prime fattorie sociali nascono in Olanda negli Anni Novanta e si sviluppano rapidamente grazie a politiche sociali di sostegno a favore di produzioni agricole integrate con attività strutturate di carattere sociale, indirizzate a gruppi vulnerabili di persone, per migliorarne il benessere psico-fisico attraverso la viticoltura, l’orticoltura, il contatto con gli animali, la trasformazione dei prodotti vegetali e caseari e la vendita al pubblico.
Con il nuovo millennio, anche in Italia si inizia a parlare formalmente di agricoltura sociale, grazie al Decreto Legislativo 228/01 [“Orientamento e modernizzazione del settore agricolo, a norma dell’articolo 7 della legge 5 marzo 2001, n. 57”, N.d.R.], che rilancia l’impresa rurale e prevede la possibilità di iniziative educative-didattiche per ampliare le funzioni delle imprese agricole e aiutare la crescita di queste realtà.
Ci vorrà più di un decennio per vedere l’approvazione della Legge 141/15, con le disposizioni in materia di agricoltura sociale.
Tra le attività dell’impresa agricola sociale, particolare attenzione viene data all’inclusione e all’inserimento socio-lavorativo di lavoratori con disabilità, tema oggetto di una recente pubblicazione curata da Daniela Pavoncello [se ne vedano qui sopra i dati, nell’introduzione al presente approfondimento, N.d.R.], che oltre ad offrire un’esaustiva panoramica dell’agricoltura sociale in Europa e in Italia, raccoglie i risultati di una ricerca effettuata censendo 1.197 realtà, quali imprese agricole, enti pubblici, cooperative sociali e altri soggetti di cui 367 con i parametri utili per l’indagine. Tra questi sono 200 quelli che presentano tra i beneficiari le persone con disabilità.
La pubblicazione mette a disposizione fonti normative europee e nazionali, senza tralasciare gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda ONU 2030, che raccomanda di «non lasciare indietro nessuno». Vengono utilmente fornite, con stile rigoroso e scientifico, informazioni dettagliate e dati inerenti il progetto di ricerca quali-quantitativo, la metodologia, gli strumenti d’indagine, i risultati.
Tra i dati rilevanti, è interessante segnalare che, relativamente al campione di 200 questionari, ben 2.039 persone con disabilità, soprattutto intellettiva e dello spettro autistico, nella maggioranza di genere maschile, sono annualmente coinvolte in iniziative per l’inserimento socio lavorativo con progetti riabilitativi e di sostegno sociale, progetti finalizzati all’educazione ambientale e alimentare, alla salvaguardia della biodiversità, alla conoscenza del territorio.
Le modalità di coinvolgimento sono rappresentate da strumenti quali la borsa lavoro, il tirocinio, oppure dall’essere socio lavoratori o dipendenti. Emerge dal rapporto che essere socio lavoratore di una cooperativa rende la persona con disabilità protagonista e attivamente coinvolta all’interno dell’organizzazione, mentre la precarietà delle altre forme di lavoro destabilizza l’equilibrio psicofisico, per il rischio di precarietà, isolamento e inutilità.
Normalmente gli spazi naturalistici infondono benessere, e ancor più le attività agricole hanno effetti positivi in chi cura piante, fiori e ortaggi, stabilendo un contatto diretto con la terra e seguendone i cicli produttivi con la preparazione del terreno e la raccolta dei prodotti. Nel caso di persone con disabilità, inserite in un contesto agro-sociale, si realizza il passaggio dall’essere destinatarie di cure al divenire persone che si prendono cura dell’orto, del giardino, di un animale. Si acquisiscono le competenze, si ottiene autostima, si costruiscono relazioni e migliora la qualità della vita.
Attualmente è modesto il numero di interventi di sostegno a bisogni socio assistenziali in contesti di agricoltura sociale, per la scarsità di risorse finanziarie e per la mancata conoscenza di tali opportunità da parte dei funzionari pubblici, degli imprenditori agricoli, degli operatori socio sanitari. Eppure c’è anche un valore economico e produttivo nelle attività imprenditoriali di agricoltura sociale e nel lavoro curato da Daniela Pavoncello, sono presenti pure i dati relativi agli investimenti, al fatturato e ai ricavi delle organizzazioni esaminate. In tal senso appare in crescita il numero di consumatori interessati all’acquisto diretto dei prodotti e continua a diffondersi la modalità di acquisto tramite gruppi di acquisto solidale.
Un capitolo del libro è dedicato alle buone pratiche e le cinque realtà descritte infondono fiducia verso il futuro: apprendere infatti che la Cooperativa Agricola piemontese Agricoopecetto produce e trasforma “la ciliegia di Pecetto” con sei addetti di cui tre con disabilità o che la pionieristica Cooperativa Agricola Capodarco di Grottaferrata (Roma), con trentasei addetti di cui sei persone con disabilità, produce olio, vino, miele, biscotti con certificazione biologica e organizza tante altre attività di formazione, accoglienza, ristorazione e ospitalità, fa decisamente sperare in una possibile inclusione delle persone svantaggiate in contesti di qualità, ideale superamento dei tradizionali centri diurni.
Altrettanto interessanti sono le attività delle altre tre Cooperative Sociali, rispettivamente nel Veneto, in Umbria e in Calabria.
La Fattoria Sociale Conca d’Oro di Bassano del Grappa (Vicenza), nata con la ristrutturazione di un antico edificio rurale reso completamente accessibile alle persone con disabilità, promuove iniziative di formazione e inserimento lavorativo in collaborazione con i Servizi Sociali di zona e l’Amministrazione Comunale. Oltre all’orticoltura, alla frutticoltura e all’olivicoltura con metodo biologico, l’azienda ha avviato anche una piccola produzione di bachi da seta per la realizzazione di fili per il settore della gioielleria. Inoltre, è stato aperto un punto vendita dei prodotti aziendali e un rinomato ristorante con giovani disabili cui è affidato il servizio in sala e che aiutano nella preparazione del cibo.
A Limiti di Spello (Perugia), la Cooperativa Agricola La Semente è stata concepita da un’Associazione di genitori di persone con disturbi dello spettro autistico [l’ANGSA Umbria, N.d.R.] in sinergia con gli Enti Pubblici Locali, per il raggiungimento del maggior grado di autonomia possibile dei giovani con autismo. Le attività multifunzionali comprendono laboratori creativi, produzioni di prodotti biologici, un agriturismo e un ristorante.
Infine, in Calabria c’è la Cooperativa al femminile Le Agricole, composta da donne, alcune delle quali rom, altre con disabilità e ragazze madri e da due Associazioni di Lamezia Terme (Catanzaro). Il contesto è di frontiera, il tasso di disoccupazione giovanile sfiora il 50% e la presenza di forme di criminalità organizzata rappresenta una costante minaccia, con conseguenti atti intimidatori come l’incendio dei terreni coltivati messi a disposizione dalla Diocesi di Lamezia Terme. E tuttavia, nonostante le gravi difficoltà, la Cooperativa integra l’attività produttiva agricola con l’offerta di servizi culturali, sociali, educativi, assistenziali, formativi, occupazionali di soggetti svantaggiati.
Pavoncello analizza queste pratiche di agricoltura sociale e indica criteri e presupposti metodologici per determinare la loro trasferibilità, valutando se esse siano in grado di orientare le scelte pubbliche sull’adozione di tali modelli e se esista la capacità di promuovere la condivisione di esperienza e conoscenza.
In particolare, l’attenzione viene data ai percorsi di inclusione sociale attraverso la costruzione di un modello che preveda il progetto personalizzato centrato sui bisogni soggettivi della persona con disabilità, orientato all’inserimento lavorativo permanente, con un’attiva partecipazione nei contesti socio-organizzativi. Utile avvertenza, per ottenere buoni risultati, il procedere contemplando alcune aree come l’ accoglienza e l’orientamento, l’accompagnamento e l’inserimento lavorativo e infine la valutazione.
La curatrice di questo importante rapporto esamina come tali fasi siano state realizzate in ognuna delle esperienze descritte alla luce del cambio di paradigma introdotto dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, che definisce quest’ultima come il «risultato dell’interazione tra persone con minorazioni e barriere comportamentali e ambientali che impediscono la piena ed effettiva partecipazione nella società su base di uguaglianza con gli altri». Infatti, le imprese sociali agricole non si sono focalizzate sul deficit, ma sulle potenzialità, le abilità e le risorse, creando ambienti e contesti facilitanti. Ne hanno beneficiato non solo i diretti interessati, ma anche le famiglie, il sistema locale di riferimento, la rete dei servizi sociali e il consumatore finale.
Condividere e coltivare valori di solidarietà e inclusione ha significato generare ricchezza sociale non quantificabile, ma evidente. Ciò che è rilevabile è che la persona con disabilità inserita in attività di agricoltura sociale migliora le proprie potenzialità e può acquisire un’identità adulta, finalizzata alla costruzione di un progetto di vita indipendente.
Ma in realtà l’agricoltura sociale fornisce una risposta ai bisogni crescenti di tutta la popolazione, sia in termini educativi che di produzione agricola sostenibile, favorisce comunità che collaborano nella promozione di salute e qualità del vivere sociale, dove ogni persona contribuisce al bene comune: un laboratorio di inclusione, come conclude Daniela Pavoncello, a cui ispirarsi per costruire una società più equa e rispettosa dei diritti di tutti.
Complimenti dunque alla curatrice per l’interessante lavoro e per le proposte sulle azioni da intraprendere per incentivare e promuovere l’agricoltura sociale, tramite una pubblicazione necessaria ai soggetti in grado di influenzare nuove politiche di sviluppo dell’economia sociale, e al tempo stesso utile per ognuno di noi.