La scienza che unisce diverse malattie, e che sa unire i diversi attori coinvolti da queste malattie: è stato questo il tema dell’incontro Target Condivisi e Trial Clinici Sostenibili in Neurologia, organizzato nell’àmbito del recente Congresso della SIN (Società Italiana di Neurologia). A prendervi parte sono stati Francesco Patti (Gruppo Sclerosi Multipla della SIN), Michelangelo Mancuso (Gruppo Malattie Rare della SIN), Marco Salvetti (Gruppo di Studio Neuroimmunologia della SIN) e Paola Zaratin (direttore Scientifico dell’AISM-Associazione Italiana Sclerosi Multipla).
I relatori hanno analizzato una serie di studi che dimostrano come malattie diverse (sclerosi multipla; malattie rare; altre malattie neurodegenerative) possano avere meccanismi patogenetici comuni. Si è discusso pertanto di come tali evidenze possano essere utilizzate per accelerare lo sviluppo di terapie sempre più efficaci: dall’individuazione dei target farmacologici, al disegno di trial clinici che includono malattie diverse ma biologicamente simili, fino allo sviluppo di modelli di sostenibilità che guidino la distribuzione delle risorse in base a queste e altre sinergie, oltre alle implicazioni che questi progressi scientifici hanno per un nuovo modello di sostenibilità della ricerca che garantisca, a tutti gli attori, il massimo beneficio dalle risorse impiegate.
Si tratta di un progetto ambizioso, che mira a mettere insieme nelle sue primissime fasi giovani ricercatori di estrazione diversa, neurologi sì, ma anche farmacologi e neurobiologi, perché la sfida è quella di osservare la sclerosi multipla, le malattie rare e altre malattie neurodegenerative da diversi punti di vista, cercando appunto di identificarne le tracce in comune.
«Se come è emerso negli ultimi anni – ha sottolineato durante l’incontro Marco Salvetti -esistono meccanismi comuni in diverse malattie neurologiche, non ha molto senso che la ricerca sulle varie patologie sia separata: possiamo unire gli sforzi, e così potremmo scoprire che il risultato che otteniamo in alcuni campi si rivelerà utile anche in altri». «È un tentativo – ha proseguito – che nel campo della neurologia è del tutto nuovo, se si escludono alcune iniziative da parte dell’industria. Ciò ricorda invece quanto fatto recentemente nel campo dell’oncologia, dove i trial clinici cominciano a radunare persone con diversi tipi di tumori, ma che condividono la stessa alterazione molecolare».
«La crescente comprensione della condivisione di meccanismi nella fisiopatologia – ha dichiarato dal canto suo Francesco Patti – dovrebbe convincere tutti gli attori, i pazienti e le organizzazioni di pazienti a guardare oltre la propria malattia».
Le linee guida per questa alleanza trasversale sono contenute in un articolo apparso di recente nella rivista «Trends in Molecular Medicine». «Portare alla luce gli effetti positivi di un trattamento su singoli processi di malattia – vi scrive Mario Alberto Battaglia, presidente della FISM, la Fondazione che opera a fianco dell’AISM – permetterebbe anche di immaginare la combinazione di terapie, forse l’unico approccio che, nel breve e medio termine, potrebbe essere in grado di combattere i diversi tipi di danno che caratterizzano le malattie più complesse».
«Il riferimento è al fatto che per esempio – ha aggiunto nel corso dell’incontro di Roma Michelangelo Mancuso – molte delle migliaia di malattie rare sono determinate da singoli geni: studiare queste patologie potrebbe aiutarci a capire in che modo quel gene influenza o contribuisce a patologie più complesse, e se e come potrebbe diventare un bersaglio farmaceutico. La condivisione dei meccanismi di base in questo senso può produrre risultati importanti anche sotto altri aspetti: questo tipo di alleanza, infatti, consentirebbe ad esempio alle malattie rare di ottenere un’attenzione che difficilmente riescono ad avere; basti pensare alla difficoltà di testare i farmaci per così tante malattie e pochi pazienti, fattori che raramente rendono queste patologie oggetto di sperimentazioni cliniche».
Concretizzare tutto questo richiede nuovi modelli di sostenibilità della ricerca che possano dare nuove risposte alle persone colpite da queste malattie. «Gli investimenti per le innovazioni in ricerca e sanità – ha ricordato a tal proposito Paola Zaratin – diventano sostenibili se vengono contabilizzati insieme ai benefìci. Ciò rappresenta una nuova sfida per le Associazioni e le Fondazioni dei pazienti che hanno presentato e discusso iniziative nelle quali sono o potrebbero essere coinvolte. Ebbene, tra queste diverse iniziative, va ricordato il progetto europeo MULTI-ACT, coordinato proprio dall’AISM, che ha come obiettivo lo sviluppo di un nuovo modello di impatto collettivo della ricerca, dove il paziente rappresenta il portatore d’interessi (stakeholder) centrale».
Da segnalare in conclusione che all’incontro promosso all’interno del Congresso della SIN hanno partecipato anche Anna Ambrosini, responsabile dell’Area Ricerca Neuromuscolare della Fondazione Telethon e direttore scientifico della Fondazione AriSLA, Renza Barbon Galluppi, presidente onorario di UNIAMO-FIMR (Federazione Italiana Malattie Rare) e responsabile della progettualità di UNIAMO GOLDIN Impresa Sociale (spin-off di UNIAMO-FIMR), Giorgia Tartaglia, presidente dell’AISA Lazio (Associazione Italiana per la Lotta alle Sindromi Atassiche) e Carlo Rossetti, presidente onorario e responsabile dei Rapporti Istituzionali per l’AISA Nazionale. (B.E. e S.B.)
Per ulteriori informazioni e approfondimenti: barbaraerba@gmail.com.